Non ho mai pensato di cambiare il mondo, o meglio sono abbastanza conscio di aver scelto un mestiere che non lo migliorerà. Mi darebbe però fastidio pensare di essere parte della cricca di quelli che lo rendono un posto peggiore.
Prendo spunto a piene mani dall’ottimo post dell’amico Marco Briotti dal titolo “un mondo effimero” e a piene mani incollo il commento dell’amico Alessandro Banchelli, acuto osservatore ma soprattutto tra i pochi che hanno diritto di passare sopra questo ammonimento dell’amico Gigi Cogo. Siamo tutti amici no? Via Michela Passarin, un’amica.
Dico uno dei pochi perché un titolo di studio umanistico gli permette di comprendere le dinamiche social con un po’ di arguzia, attenzione e profondità in più rispetto ai mille mila consulenti che si improvvisano “specialist”, “expert”, o “proof”. E anche chi si dichiara “rookie” mente sapendo di mentire, falsa palesata modestia. Ma veniamo al commento di Alessandro, una vera e propria “bordata” al social media marketing
Complimenti Marco.
Il tuo sfogo è un bel labirinto di riflessioni in cui mi è piaciuto perdermi.
Io penso che i Social Media siano un profilattico bucato. Puoi godere quanto vuoi, ma alla fine arrivano le responsabilità.
Tutti vogliono un orgasmo di contenuti e contatti, magari con il viagra dello spam e di quella che definisci la distribuzione dei contenuti in cascata.
Ma alla fine arrivano sempre le responsabilità, le responsabilità dei risultati lavorativi, le responsabilità dei rapporti personali.
Tu dici che il nodo vero è nella gestione dei contatti e dei contenuti. Io penso che quel nodo si sia trasformato in un cappio e senza boia ne colpevole.
Non amo i social media perchè confondono di una confusione talmente chiara da sembrare l’unica verità possibile e ne diventi dipendente, un dipendente a tempo indeterminato senza possibilità di licenziarti ma con quella di essere licenziato senza alcun preavviso.
Tu dici il voyeurismo prima o poi stanca. Io dico che con i Social Media gli specchi non finiscono mai e che purtroppo si rompono con fin troppa facilità.
Per questo preferisco non abbracciare totalmente e per il momento i Social Media perchè quando abbracci aria ti può capitare di respirare fumo o peggio di produrlo.
Il vero problema è che Alessandro non ha torto. Partiamo dall’unico punto che mi permette di fare questo mestiere svegliandomi sereno la mattina: provo a pensare che le aziende (come dovrebbero fare le persone) sono nella situazione di chiedere qualcosa, e quindi ogni strategia di marketing deve partire dal dare qualcosa in cambio. Sdoganiamo le pippe, l’utente che cerca informazioni le può trovare da solo, l’azienda più brava a farsi trovare può utilizzare strumenti diversi da un complesso castello di blog / facebook / twitter / foursquare / linkedin bla bla per intercettare l’utente, perchè farlo? Fondamentalmente perché le persone sui social media sono più vulnerabili, perché non hanno ancora elevato quelle barriere percettive (concetto di marketing 1.0 che invito a studiare) che permettono ormai di skippare mentalmente la pubblicità alla radio ed in tv. Ma attenzione, lo stanno facendo.
Proprio Alessandro una volta mi disse che questa (del social) è una gallina dalle uova d’oro, ma è una cosa di medio periodo. Potrebbe avere ragione. I grandi si stanno attrezzando, me lo aspettavo ma lo stanno facendo bene, giocano con le regole del social. O fanno finta di farlo. E quando non lo sanno fare si comprano chi lo sa fare, e lo scherzo continua. Gli utenti stanno comprendendo che c’è “da succhiare” su questa benevolenza aziendale, diventano “cherry picker” e come il topolino che mangia il formaggio ma non fa scattare la trappola prendono il buono di questa attività e lasciano il resto.
Perché quindi esserci? Perché portare le aziende in un terreno minato? Perché la fuori ci sono molte persone e quello è l’unico terreno in cui funziona la conversazione. Credo che un’azienda su 100 sia in grado di attivare una conversazione paritaria con l’utenza. Ma 50 su 100 vogliono essere sui social network, e 99 lo vorranno. Potrebbe essere una di quelle dinamiche di “rottura del ciclo” in cui un business earthquake rimescola le carte, e ci ritroviamo con un mondo migliore. Potrebbe essere anche l’ennesima beffa. Di sicuro lavoriamo “in carne viva” e non è concesso di perseverare, perché già l’errare ti garantisce l’inferno. Non demonizzerei il social come leva, posso pensare che anche “alterare” i risultati di un motore di ricerca non sia cosi etico perchè essere bravi nella SEO non significa fare un prodotto migliore e non è con l’innovazione in comunicazione che il mio paio di scarpe diventa più comodo, giusto per estremizzare. Ragionerei piuttosto sull’etichetta “seo, sem, social media expert, web consultant, marketing evangelist”, credo siano keyword contenute in almeno 1 ogni 2 miei contatti di twitter, forse anche nel mio. Chi lavora sui social coi social è chiamato a studiare, a elevare la propria conoscenza per lavorare con quelle che sono a tutti gli effetti scienze sociali. E chiudo con una domanda: che lavoro faremo tra 10 anni?