Mi interrogo spesso sulla natura del tifo sportivo: su cosa anima il tifoso di calcio, da dove nasce l’amore viscerale per la squadra del cuore. Al di là delle motivazioni, la fede sportiva per il proprio club è un dato di fatto inconfutabile che viene spesso sottovalutato da chi è a capo delle organizzazioni sportive.
Il mancato riconoscimento della centralità del fan (fan-centricity) è uno dei motivi principali che sta allontanando i nostri club dal percorso virtuoso di sostenibilità nel lungo periodo.
La concentrazione degli sforzi strategici ed economici nell’allestimento della squadra e la dipendenza cronica dai diritti TV rischiano infatti paradossalmente di ridurre ancor di più la fetta di ricavi da stadio, da merchandising e l’appeal di club, leghe e federazioni nei confronti degli sponsor.
E’ chiaro che la valorizzazione della relazione con i nostri tifosi passa dalla comprensione dei presupposti su cui si basa la fedeltà dei fan, della natura del legame emotivo tra tifoso e club di appartenenza, dei significati profondi che questa relazione sottende.
Si tratta di un patrimonio inestimabile che non possiamo dare per scontato e la cui esaltazione risulta essere a mio avviso l’unica via verso il recupero del gap con i paesi “sportivamente” più evoluti.
Ho solo sfiorato l’argomento nel mio ultimo post sulle qualità essenziali del social media manager dello sport, quando affermo che chi vuole lavorare con profitto nel marketing o nella comunicazione di un’organizzazione sportiva deve riconoscere la centralità dei fan nella vita del club, la passione che anima i sostenitori, il peso che il legame emotivo tra il supporter e la propria squadra può avere nel determinare le fortune di una società di calcio.
Ma allora perché non possiamo considerare il tifoso come un normale cliente? O meglio, quali sono gli aspetti che fanno del fan un cliente davvero speciale?
Ne propongo cinque:
- Tifare significa identificarsi con la propria squadra del cuore: il tifoso è parte integrante della vita del club, al punto che i supporter si sentono in un certo senso i legittimi proprietari, perché costituiscono il vero DNA di un’organizzazione sportiva ciò che rimane nel tempo e sopravvive a calciatori, allenatori, manager e presidenti. Ecco perché capita di vedere i tifosi opporsi alla cessione del club da parte della proprietà, come quelli del Manchester United che qualche anno fa scrivono in uno striscione “Not For Sale” o quelli dell’Hull City che puntualizzano “a club not a brand”.
- Tifare vuol dire esprimere la propria identità: la fede sportiva si trasmette per via ereditaria tramandandosi di generazione in generazione, è una manifestazione della nostra identità di uomini e donne, è quella cosa che ci distingue dagli altri e ci fa sentire vicini allo sconosciuto che abbracciamo in un bar o allo stadio quando la nostra squadra fa goal. I colori, i riti, la storia, i ricordi delle sfide e degli eroi vengono immagazzinati nell’hard disk del tifoso, accompagnano piacevolmente le sue giornate costituiscono in alcuni casi addirittura una riserva di energia e speranza. Quell’attaccamento alla maglia che si pretende dai calciatore è un concetto innato nel tifoso che la sente come una sorta di armatura in grado di dare sicurezza e protezione.
- Tifare vuol dire essere parte di qualcosa più grande di sé: alla stregua della religione e sperando di non risultare blasfemo, la squadra del cuore rappresenta per tante persone la fuga dalla routine e dallo stress della vita. L’appartenenza ad un gruppo, fare il tifo aiuta a dare senso alla vita perché il fan trova nuovi significati nella partecipazione alla partita e alla vicende del proprio club. In Svezia, dove si stanno sperimentando alcune innovative metodologie di gestione dell’ordine pubblico durante le partite attraverso il dispiegamento di diversi livelli di intervento (Polizia del dialogo, Polizia dell’evento) in collaborazione con i responsabili delle relazioni con la tifoseria dei club (SLO) si tutela la partecipazione dei ragazzi ai gruppi organizzati perché il tifo contribuisce a dare senso alla vita e alle giornate di tanti giovani che altrimenti rischiano di perdersi.
- Tifare fa vivere emozioni e passioni che rendono la vita più bella: nel calcio non c’è solo la squadra, non ci sono solo i successi e le sconfitte, sono la nostra stessa giovinezza, la nostra vita ad essere coinvolte. Chi non ricorda la prima volta allo stadio. Quell’esperienza è legata solitamente ad un proprio familiare, al papà nel mio caso, e l’emozione vissuta è tracciata in modo indelebile nella nostra memoria, è lì che nasce la passione. I brividi che dà il vedere la propria squadra allo stadio o in TV, l’attesa della partita rendono la vita più piacevole ed emozionante e poi ci sono tutte le discussioni e i commenti del post partita che riempiono le giornate di milioni di appassionati. Il calcio ha anche il potere di far sentire i tifosi una cosa sola, pensiamo solo alla Nazionale durante i Mondiali o i Campionati Europei, non è forse l’unico momento in cui ci sentiamo tutti italiani?
- Tifare significa essere parte integrante del prodotto: “voi siete il calcio”, è il titolo del video con cui la Premier League rende omaggio alla centralità dei propri tifosi ringraziandoli per fare del torneo inglese la competizione più importante ricca e popolare del mondo. Dobbiamo riconoscere che lo spettacolo che va in scena ogni settimana non sarebbe lo stesso senza i tifosi, al di là della qualità delle squadre è la cornice di pubblico e le emozioni che esprime a rendere speciale e vibrante quei novanta minuti. Alzi la mano chi ha mai trovato eccitante una partita a porte chiuse! Il tifoso è quindi il complemento ideale dell’evento sportivo, co-creatore del prodotto assieme ai protagonisti sul campo, elemento imprescindibile dello spettacolo e dell’esperienza che i titolari dei diritti (club e leghe) offrono ogni settimana. Anche dello spettacolo televisivo perché un torneo con poco seguito di pubblico è certamente un prodotto poco vendibile.
Non possiamo quindi considerare il tifoso come un mero cliente. Il tifoso è anche un cliente e può diventare un super cliente perché nasce già con una fedeltà quasi incondizionata. Il tifoso è sempre presente non aspetta altro che essere coinvolto, non prende nemmeno in considerazione di passare alla concorrenza, si dimentica persino degli scandali che coinvolgono periodicamente club e calciatori.
Ha quindi molto senso parlare di Fan Relationship Management (FRM) per distinguerlo dal Customer Relationship Management (CRM) quando la relazione tra imprese e “clienti” si arricchisce degli elementi di emotività, identità, appartenenza e socialità, tipici del mondo dello sport.
Questo concetto di fedeltà è espresso magnificamente dallo scrittore spagnolo Javier Marías quando scrive:
“L’ideologia, la religione, la moglie o il marito, il partito politico, il voto, le amicizie, le inimicizie, la casa, le auto, i gusti letterari, cinematografici o gastronomici, le abitudini, le passioni, gli orari, tutto è soggetto a cambiamento e anche più di uno. La sola cosa che non sembra negoziabile è la squadra di calcio per cui si tifa.”
Dove sta quindi la difficoltà? Chi non vorrebbe una base clienti costantemente coinvolta, pronta a rispondere alle iniziative, sostenere le campagne, partecipare in massa agli eventi, acquistare i prodotti, condividere i contenuti sui social?
Il problema è che c’è il rovescio della medaglia perché i tifosi nutrono aspettative altissime nei confronti del proprio club, molto più alte di quelle di un cliente per un’azienda, marca o prodotto, attese che molto difficilmente le società di calcio sono in grado di soddisfare perché sono per definizione limitate nelle risorse (si tratta se ci pensiamo di imprese medio-piccole) e in molti casi sotto-strutturate.
Il tifoso insomma vuole vincere, e il successo è qualcosa che i club non sono in grado di garantire.
Si tratta allora di pensare a delle strategie di coinvolgimento di massa che rispettino i cinque aspetti che ho descritto sopra e che consentano di ridisegnare l’esperienza che i fan vivono con la propria squadra del cuore.
E’ proprio il coinvolgimento, quel famoso engagement che tutti rincorrono, il vero ago della bilancia, il perno sui cui far ruotare la relazione con i fan. Recenti studi rivelano che un fan coinvolto spende dal 20 al 40% in più di un cliente normale ed è chiaro che il coinvolgimento è diventato una priorità per le aziende non solo del comparto sportivo.
Ma allora come possiamo valorizzare questo patrimonio di passione?
Il calcio fa parte di quelli che Paul Greenberg definisce gli “emotional verticals”, i business emozionali in cui non è facile trovare una risposta alle aspettative dei clienti. Si tratta “semplicemente” di fare cose che impattano gli individui in modo da farli sentire bene.
E’ la totalità dell’esperienza che offriamo ai nostri fan ciò che conta, non solo lo spettacolo sportivo, ed è qui che il CRM ops… l’FRM ci viene in aiuto, perché vuol dire disegnare la strategia, i processi, dotarsi della tecnologia che ci permettano di raccogliere e analizzare i dati per capire quello che i tifosi vogliono.
E’ qui che, credo, si giocherà la partita della rilevanza per le nostre società di calcio.
Si tratta quindi di trovare nuovi modelli di gestione in grado di dare una risposta più umana alle persone che amano così tanto il proprio club. Riuscirci nel calcio è stranamente più facile e allo stesso tempo più difficile, facile perché la passione e la fedeltà sono già lì, difficile perché le aspettative del tifoso sono considerevolmente più insaziabili di quelle di un normale cliente.
Voi che ne pensate?
Aspetto come sempre i vostri commenti.