Scrivo questo articolo di sabato, per non dare fastidio a nessuno, conscio che potrebbe contenere qualche considerazione forte. Partiamo da una frase:
Noi siamo ben più che i nostri condizionamenti: nelle nostra vite c’è ben più che una serie di risposte prestabilite. Il guaio è che gran parte della psicologia moderna – la psicologia come scienza – è derivata (o ne è influenzata) dalla psicologia behavioristica e dal conseguente impoverimento dell’esperienza umana. (…) Se promuovere un’azione fosse solo questione di individuare lo stimolo adatto, gli esseri umani sarebbero ridotti a fare qualcosa unicamente per ottenere una ricompensa o evitare una punizione. (Lo stimolo è la carota o il bastone).
Queste righe sono parte di una dura critica che Lou Marinoff, professore di filosofia al City College di New York, porta alla psicologia comportamentale e delle decisioni, servendosi anche di un bellissimo e forte termine preso a prestito da Arthur Koestler che bolla questo fenomeno come psicologia rattomorfica.
Sostanzialmente la diretta correlazione tra stimolo e risposta va stretta ai filosofi, che sembrano non avere tutti i torti. Venendo a noi, queste parole mi hanno fatto pensare al tema ormai abusato del blogger engagement cui recentemente Stefano Mizzella ha dedicato un articolo dal titolo “Se diventi fan ti regalo una caramella“.
Stefano divide i brand in due grandi mondi (e destini):
- I brand aspirazionali (Aston Martin) sono chiamati a difendere l’aura di celebrità e la patina di clamore che li circonda senza “abbassarsi” ad iniziative prezzolate (per dirla alla Seth Godin) sui social media
- I brand popolari sono invece in corsa per regalare il più possibile agli utenti in piena logica “3X2” mendicando citazioni, share e una briciola di bacheca
Insomma, utenti topi e blogger topi che prima o poi si stancheranno degli zuccherini e chiederanno la torta (sta già succedendo, molti si trasformano in media ben consci della propria audience e si adeguano al modello pubblicitario) oppure vedranno nella raccolta punti e nei regalini incentivi troppo bassi per muovere a favore di quel brand che mi porta due giorni in vacanza o mi regala la tazza col logo di Facebook e la mia foto.
Sono dubbioso, in particolare sull’estemporaneità del fenomeno. Chris Anderson ha scritto un bel libro, Gratis!, in cui dice sostanzialmente che “il free tira sempre”, la descrizione di IBS ben sintetizza il suo pensiero:
Su Internet, quasi nulla è a pagamento: si possono trovare software open source, progetti collaborativi come Wikipedia, i mille servizi offerti da Google, persino cantanti che regalano musica dai loro siti Web (dai Radiohead alla più sconosciuta delle band su MySpace). Grazie alla Rete sta nascendo una nuova economia, fondata su un prezzo rivoluzionario: zero, niente, gratis. E nel nuovo mercato dei Megabyte, con le stesse risorse di hardware si possono servire milioni di utenti: una straordinaria economia di scala che abbatte i costi di distribuzione e rende conveniente “arrotondare a zero” il prezzo. È una gratuità diversa da quella a cui ci ha abituati il marketing tradizionale – campioni omaggio, gadget in regalo nelle confezioni, offerte “3 x 2” perché la rivoluzione digitale ha trasformato il Gratis in una forza economica senza precedenti. Il potere dirompente del Gratis può funzionare anche in un’economia in crisi, ma occorre spostarsi dall’idea di mercato come incontro tra due parti – venditore e acquirente – a un mercato visto come ecosistema, in cui il percorso da prodotto a profitto è indiretto. L’economia non è più, come volevano i manuali, la “scienza della scelta in condizioni di scarsità”: il nuovo paradigma è incentrato sull’idea di abbondanza delle risorse digitali. Dobbiamo imparare a “sprecare” se vogliamo sfruttare appieno le illimitate potenzialità della Rete, creando modelli di business innovativi che diffondano merci e prodotti, ma anche cultura, conoscenza e consapevolezza.
Anche la suddivisione ta brand aspirazionali e popolari, che ritengo sensata, va forse completata da un ragionamento trasversale sui lovemarks e sui web lovemarks in cui non è per forza il prezzo la leva discriminante. Io credo, con Stefano, che questa economia vada mutando, probabilmente alcuni influencers “passeranno la barricata” alleandosi con il marketing, altri si stancheranno ma queste nuove figure di opinione continueranno a dire la loro.. Meglio un blogger incentivato o un 6X3 figlio dell’interruption marketing? La risposta merita un altro post.. (io segnalo solo che mia mamma è stata ben felice di regalare a Facebook e Burberry i propri dati per ricevere un prodotto omaggio)