Un nuovo studio pubblicato dalla piattaforma Socialflow, condotto tra il 1 aprile e il 31 luglio su 1.6 milioni di social post da Facebook, Twitter e Google+ rivela che il 99% degli updates non a pagamento genera un engagement nullo o quasi nullo. Questo dato, che nel mondo del calcio è assimilabile a una “parata per i fotografi” non fa altro che rendere giustizia ad una delle regole che norma qualsiasi effetto di rete, già teorizzata da Anderson nel suo libro “The Long Tail”. Il teorico suggerisce di vedere questa statistica “al contrario”, considerando l’1% “fuori scala” (Malcom Gladwell parlava di outlier o fuoriclasse in un altro libro di grande qualità) ma non per questo perdendosi d’animo se il 99% dei contenuti genera in realtà una striscia di basso engagement che è però continuativo e di lungo periodo, quindi strategico. La “gestione continuativa” delle pagine Facebook o degli account Twitter non potrà mai essere paragonata a contenuti cui viene data visibilità con l’advertising (e qui la provocazione è, ha senso uccidere il social media manager e vivere di sole campagne di social advertising? Probabilmente no perché il profilo necessità di un “heritage di base” – per carità comprabile – rappresentato dalla fanbase o dai follower iniziali che rendono credibile l’impianto), in verità la regola dell’1% in rete è ben conosciuta: in ogni community è solo l’1% dei membri che reagisce attivamente (creando ad esempio contenuti) rispetto ad un 99% di uditori silenti.
Ci interessa in questa sede una variante, quella del 90-9-1, proposta da VentureBeat. Secondo questa impostazione il 90% dei membri di una community legge un contenuto, il 9% lo edita (quindi anche con like, commento nel caso di facebook) e l’1% lo crea (share?). Ovviamente dobbiamo considerare il dato non partendo dalla fanbase (1.000 like) ma dal reach medio organico che quella fanbase può vantare (qui un nostro approfondimento di qualche tempo fa). In questo momento sembra che il comportamento degli utenti penalizzi il “9” in questa regola, con un 1% molto attivo e il 90 e più % statico rispetto al contenuto, uno dei modi per concentrarsi su questa terra di mezzo reattiva verso l’utente è il content recycling, una strategia che il guru Guy kawasaki interpreta postando 4 volte al giorno lo stesso tweet, ma che altri user nostrani propongono in realtà in modo molto intelligente:
Lo studio segnala anche, ma non è una novità, una differenza di engagement tra post real time e post schedulati o update automatici. Molto sorprendente però il fatto che il real time update non si rivela vincente in tutte le industries: retail, fashion ed health care vedono il posting automatico performare meglio rispetto all’update in tempo reale. Attenzione inoltre al fatto che output “data driven”, definiti cioè da algoritmi predittivi, performano il 95% in termini di reach e il 25% in più in termini di engagement rispetto ad un post semplicemente schedulato.
Troviamo personalmente molto interessante la seconda parte di questo studio, quella cioè relativa alla sostanziale utilità ed addirittura iper-performance di strumenti automatici come Buffer rispetto alla mano umana. Più scontata invece l’idea che le aziende debbano spostare il proprio focus sul dibattito rispetto alla pura soluzione di broadcasting con almeno tre implicazioni forti:
- un aumento del costo di moderazione
- la necessità di una fanbase particolarmente attiva
- l’enorme sforzo iniziale necessario per costruire una pagina con queste caratteristiche
Una gestione tanto accurata porta il social marketer a gestire due o tre pagine in tutto, facendo solo quello. La cura del contenuto, la scelta delle immagini, il timing di post, sono tutti fattori che influiscono pesantemente su quanto visto fin d’ora. Il consiglio che portiamo a casa è però quello di “coltivare un piccolo giardino” piuttosto che seminare un prato che potrebbe seriamente riempirsi di sterpaglie (quegli utenti non attivi che rappresentano la fanbase statica e zombie che fa solo male alla nostra strategia). Ovviamente per fare questo è necessario e fondamentale ragionare con una pagina in cui “il numero di like” deve essere il più basso possibile, si il più basso possibile! Per poter garantire alla pagina la vera dimensione di community di dibattito e non una mera platea assonnata la cui attenzione è contesa da migliaia di altri broadcaster, in questo senso la lotta alle vanity metrics è appena cominciata.
qui il link per scaricare il report integrale
Credits immagine: http://venturebeat.com/2014/08/19/study-shows-99-of-organic-social-posts-create-almost-no-engagement/