No.
La risposta è categorica, almeno dal mio punto di vista. Google è un business che è cresciuto in maniera atipica e in Italia si sarebbe fermato forse prima di nascere.
Prendiamo due studenti di dottorato italiani che lavorano alle nuove tecnologie ed hanno una grande idea: un motore di ricerca. Il massimo che possono fare con il loro assegno di ricerca da 1000 euro al mese è creare un po’ di slide in power point ed ipotizzare un modello di business, mostrandolo a chi? Ad un’azienda? Un docente? Entrambi chiederebbero “bella idea ma.. come si fanno i soldi?”
Ovviamente la triste fine di questa idea è la cartella “progetti” del portatile di uno dei due ragazzi, contenuta nella sottocartella “varie” della cartella “2003”.
Farà piacere sapere che Larry Page e Sergej Brin ottennero 1.000.000 di dollari da alcuni angel investors senza avere un modello di business e, non contenti, un anno dopo ne ottennero 25.000.000 da due venture capitalist piuttosto fiduciosi.
Quale circolo virtuoso ha permesso questo? Stanford ha fornito contatti tramite il proprio ufficio brevetti, amici parenti e piccoli investitori hanno fornito il milione, col milione Page e Brin hanno comprato computer e scritto software in quantità e di qualità tali da convincere due società di primo piano nel venture capital a finanziare i loro progetti.
La bravura dei due ragazzi è assoluta e giù tutti i cappelli di fronte al business dei business. E’ bello però riflettere assieme su una cosa: in Italia qualcuno avrebbe davvero messo 25 milioni di euro su un’azienda per la quale i creatori erano ancora alla ricerca del modello di business?
Io credo di no, chi è in Italia l’operatore più indicato al ruolo di venture capitalist? Le banche? Finanziamo le tue idee! Certo, ma a google sono serviti 25 milioni di euro per dare vita ad un modello sostenibile e all’inizio ingenti perdite hanno abbattuto le speranze dei due matematici terribili.
Cosa serve dunque per avere un google italiano? Credo che la creatività e le menti non manchino anche se va detto che è stato proprio l’obiettivo di cambiare la ricerca (e non quello di fare i soldi con la ricerca) a fare grande google, i matematici infatti di solito cercano di risolvere problemi, gli economisti provano a fare i soldi, Larry Page e Sergej Brin hanno fatto i soldi dopo aver risolto un problema; anche ammettendo menti di questo tipo in Italia servirebbero finanziatori in grado di credere pesantemente in un progetto, integrazione del finanziamento con gli atenei e rete di contatti per avere accesso alle persone giuste. Se a Stanford basta un’idea per avere la parola e un’idea messa in pratica anche se ancora “grezza” per avere 25 milioni di dollari, è possibile che a Venezia (o Milano o Napoli) serva un modello di business collaudato che ha già fatto parlare di sé solo per avere udienza da un possibile finanziatore il quale, tipicamente italiano, si approprierà immediatamente del 50% della società imponendo i propri dettami di gestione e togliendo la creatività iniziale, facendo quindi collassate il progetto.
E’ possibile aprire in Italia un’azienda creativity-based con ottica di profitto nel medio lungo periodo senza chiamarsi Lapo?
Giorgio Soffiato
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