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Brand reputation ed ipocrisismo 2.0

Scrivo questo post di pancia, conscia di fomentare critiche, ma desiderosa di capirne di più anche attraverso l’opinione degli altri.

La questione è semplice: sempre più aziende si rendono conto che è importante cercare il dialogo con i propri consumatori attraverso gli strumenti messi a disposizione dal web 2.0, aprono quindi blog, pagine fan su facebook, twitter e quant’altro, salvo poi controllare rigorosamente quello che gli utenti scrivono e censurare i messaggi scomodi.

I social possono essere uno strumento utilissimo per le aziende, forniscono un contatto diretto con i proprio clienti che tramite questi canali possono esprimere la propria opinione sul brand o su un prodotto acquistato.
Un monitoraggio costante dei social quindi può essere molto più esemplificativo, preciso ed economico di una ricerca di mercato, una volta che si lascia al consumatore la piena libertà di esprimere un giudizio però è giusto lasciargliela fino in fondo e non cancellare commenti che risultano non graditi.
Molte aziende giustificano la censura dicendo che cancellano post offensivi nei confronti del brand o di terzi, come se il lettore esterno non sia in grado di giudicare da sè.

D’altra parte per le aziende la reputazione è un dato economicamente misurabile, che incide sulle vendite e quindi sul profitto.
Sempre più consumatori cercano informazioni in internet prima di acquistare un prodotto, e se le opinioni risultano negative può essere che demordano.

Quindi trasparenza o censura? Esiste una giusta misura? Dipende da azienda ad azienda? Come fare a regolarsi?

 
 
AUTORE

Ilaria Guarnieri

Se Marketing Arena ha uno slidificio, Ilaria è fornaio di Keynote. Sforna icone e grafici come non ci fosse un domani, ma soprattutto offre alla prima linea caldi dati per costruire strategie. Alzatore.
 
 

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