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Di community online, big like e pulizia contatti

Per quanto tempo valuteremo il successo di un piano editoriale sull’engagement rate? I big like rappresentano ancora l’oggetto del desiderio di ogni social media manager? 15.000 sconosciuti che cliccano un mi piace su un contenuto che lifetime value hanno per l’azienda?

Se sono domande che ti sei fatto anche tu, cercheremo di dare una risposta in questo articolo.

Il primo punto di attenzione è sulla tipologia di ingaggio che vogliamo avere sui nostri contenuti. L’ingaggio può essere di due tipi: positivo e negativo. Il click bait e le fake news oggi ci hanno abituato a un engagement di tipo negativo, a una reazione che parte da emozioni come la rabbia o l’odio che per come sono fatti gli essere umani sono molto veloci da innescare e quindi più facili da ottenere. Un engagement positivo è molto più difficile da ottenere, in quanto una persona può impiegare diversi minuti per rilassarsi e apprezzare quello che ha di fronte.

Detto questo, per aumentare le interazioni in modo veloce e quasi a risultato sicuro fare leva su sentimenti negativi è la cosa migliore: più interazioni significa più visibilità nei feed del mio contenuto.

Il punto è che tutti cercano di capire come funziona l’algoritmo e nessuno cerca di capire come funzionano le persone. Peccato che siano le persone ad acquistare, con buona pace degli algoritmi.

Di fatto a tutto questo va sommato il fatto che ogni utente ha un’esperienza personalizzata sul proprio feed social quindi non sappiamo come un utente arriverà a interagire con il nostro contenuto: sarà indinniatoh!1! o rilassato?

Ciò comporta anche un secondo problema: non riusciremo mai a capire in che stato d’animo hanno interagito gli altri utenti con il contenuto perché non possiamo conoscere la loro esperienza di navigazione all’interno del social. Questa è la sfocatura dell’empatia che non ci permette di allenarci al livello emozionale con le altre persone con cui interagiamo, creando in questo modo ancora più frizioni.

Il secondo punto di attenzione va posto sul limite che le persone hanno nel tenere delle relazioni di valore con gli altri. Di questo si è occupato l’antropologo britannico Dunbar, che nel 1993 pubblicò la propria teoria la quale diceva che il limite di amicizie che può intrattenere un essere umano è di 150. Ora la famosa “pulizia kontatti delle perzone falze” assume un significato più completo. Scherzi a parte, le interazioni tra le persone sui social assumono le caratteristiche di rapporti saltuari e superficiali e la stessa cosa avviene tra persone e brand.

Infatti, un’estensione del numero di Dunbar può essere fatta per le community online: un utente può avere un rapporto attivo e concreto con al massimo 2 o 3 community digitali. Per le aziende riuscire a tenere attivi e ingaggiati i membri delle proprie community non è un compito semplice e i grandi numeri delle interazioni potrebbero essere fuorvianti nella valutazione della qualità delle interazioni tra brand e utente.

Concludendo, la grande portata che consente il medium digitale si scontra ancora una volta con la qualità dell’interazione: in un mondo di overstimolazione di contenuti pare chiaro che la rara interazione interessata e non annoiata sia quella che alla fine rende felice un brand.

 
 
AUTORE

Alberto Collet

Mi piace vestirmi con i maglioni blu e disegnare con i dati. Quando penso a una strategia se non visualizzo le idee è come se indossassi solo una camicia.
 
 

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