Il ruolo delle attività di digital PR e di influencer marketing sta diventando sempre più centrale nei piani di comunicazione delle aziende: affidarsi a canali ibridi tra paid e earned può portare benefici sia in termini di raggiungimento della propria audience sia in termini di ingaggio. Se per il primo punto le community di riferimento dei diversi influencer possono essere un bacino interessante e facile da individuare, per quanto riguarda l’ingaggio delle audience ci troviamo di fronte a due considerazioni da fare:
1. Quanta credibilità possiamo assorbire dall’influencer e trasferirla verso il pubblico target, evitando che l’influencer stesso perda la sua credibilità (in nome del proprio profitto personale);
2. Quanto possiamo misurare l’impatto delle attività di influencer marketing se non sono direttamente connesse a attività di drive to store.
Se per il primo punto sono necessarie sensibilità e attenzione alle modalità di attivazione della collaborazione, quello che ci farà essere più o meno felici sarà sapere se gli investimenti realizzati in questa attività hanno generato o meno un ritorno. Sì, parliamo del ROI.
Per dare un contesto alla valutazione economica delle attività di influencer marketing è necessario capire come sta evolvendo il mercato degli influencer.
Negli ultimi 5 anni il volume di affari legato a questa tipologia di attività è passato da circa 2 a quasi 14 miliardi di dollari, una crescita esponenziale. Cosa significa? Sono aumentati gli influencer a cui le aziende si rivolgono per le proprie campagne o costa di più fare questa tipologia di attività?
La risposta è: tutte e due.
Sulla crescita del numero di influencer che sono entrati nel mercato, pensiamo anche alla presenza di nuove piattaforme come TikTok e Twitch in cui nel giro di tre anni hanno avuto una crescita ragguardevole, sia intervieni di utenti sia, inevitabilmente, di influencer.
Più influencer significa raggiungere più nicchie di mercato ma anche più concorrenza tra influencer che coprono medesime community, soprattutto per ottenere l’attenzione del pubblico target. Per questo è necessario prendere in considerazione anche il secondo punto di questa mini analisi: ho ingaggiato l’influencer giusto? Per capirlo, come misuro gli investimenti di questa tipologia di attività in un contesto sempre più competitivo?
Innanzitutto capiamo quanto dobbiamo investire, al di là delle collaborazione con i top influencer (per questa volta non ingaggeremo Cristiano Ronaldo e Chiara Ferragni), ogni canale ha costi diversi, per la natura e la vita del contenuto nella piattaforma in cui è distribuito: un tweet fatto per noi ha un costo di realizzazione e di vita notevolmente inferiore a un video YouTube.
Quando impostiamo la campagna, dobbiamo capire quali siano i canali in cui prende forma e se i relativi costi generati sono in linea con gli obiettivi della campagna stessa: YouTube con i contenuti tutorial o le recensioni entra in gioco in una fase molto più vicina all’acquisto di una foto su Instagram, e per questo dobbiamo capire se nel costo di acquisizione medio per cliente questo sforzo si ripagherà nel tempo oppure no. Ma come facciamo a capirlo?
La risposta è che non c’è una scienza esatta, in quanto il comportamento di acquisto si basa talvolta su parametri irrazionali o non controllabili dall’azienda. Ma questo non significa che non dobbiamo fare i compiti per casa e farci trovare pronti.
Concludendo, le indicazioni sono due:
- testare, misurare e correggere e non fare subito un all-in pre flop sulle campagne che andremo a fare;
- non valutare la singola azione con l’influencer (gli abbiamo dato 1k e non abbiamo venduto niente) ma dovrà essere inserita in un piano di lungo periodo e in relazione alle altre attività, per capire nel lungo periodo quanto gli investimenti di marketing hanno portato alla causa del fatturato.