Francesco Margherita è Amministratore Delegato di SEOGarden e fondatore di Fatti di SEO, community da 30.000 iscritti.
Ovvero, quanta strada dovrà fare la tecnologia per restituirci l’umanità che ci ha strappato.
Utilizzo YouTube per intrattenermi. A tale scopo cerco le storie più assurde, i complotti più misteriosi, i miti e le leggende argomentati nei modi più bizzarri.
Amo immergermi nel mondo dei racconti altrui, perché sono BELLISSIMI. E nelle sere d’inverno, protetto dall’abbraccio del piumone, quelle storie fantastiche che escono dal mio telefono, diventano tutte vere: licantropi, scie chimiche, terre piatte, finti allunaggi, esperienze di premorte, Papi dimissionari che parlano in codice, divinità extraterrestri che divorano agnelli, personaggi stigmatizzati e cerchi nel grano.
Io sto lì e grazie ai racconti del tubo posso godermi mondi lontani e suggestivi, in cui tutto ciò che riesco a immaginare diventa vero. Ogni cosa. Poi arriva l’esperto divulgatore di turno e tira fuori un video di mezz’ora per dimostrarmi che non c’è niente di scientifico dietro a certe “strane storie”. Grazie prof., ogni tanto mi serve una bella sveglia, così posso tornare a entusiasmarmi per l’apparato riproduttivo osservato nei primi fossili marini. Per l’appunto, due palle.
Tra le storie che leggo, le più avvincenti riguardano una domanda che tutti ci poniamo forse nel modo sbagliato: c’è vita dopo la morte? Impossibile rispondere senza fare un salto dall’altra parte a dare un’occhiata. Certo, ci sono i “redivivi”, ma nemmeno possiamo fidarci ciecamente delle loro testimonianze, perché a livello scientifico non dimostrano granché sull’aldilà.
Per quanto sulle prime possa sembrare una domanda senza senso, se consideriamo tutto ciò che dagli anni ’90 ha comportato la rivoluzione digitale, sarebbe forse più opportuno chiedersi se ci sia davvero vita prima della morte, non dopo. La domanda diventa legittima se pensiamo a quanto le sterminate strade aperte dallo sviluppo tecnologico in termini di accesso alle informazioni, abbiano spento in tanti la pulsione a cercare soluzioni non immediate. L’addormentamento, viene favorito da un enorme e costante flusso di informazioni non richieste, che ci bombardano principalmente la vista e l’udito, con interessamento del tatto, nella misura in cui l’atto di cliccare si trasforma in un tele-contatto, appunto un toccare a distanza. Manco quello c’è rimasto.
Insomma, è pur vero che dal giorno dell’invenzione della ruota, l’umanità ha continuamente cercato soluzioni per “faticare” meno, ma quel che succede negli ultimi due decenni ci avvicina a grandi passi a quel momento teorizzato come singolarità tecnologica, in cui il progresso tecnologico dovrebbe superare la capacità umana di comprenderne e prevederne le ricadute sociali. Dovrebbe.
Nel dicembre 2022, abbiamo assistito alla diffusione globale di ChatGPT, uno strumento di OpenAI basato sull’intelligenza artificiale che in pochi giorni aveva generato reazioni, proprio di quelle che ti aspetteresti in caso di atterraggio degli alieni. Per chi in quel periodo si fosse trovato in vacanza su una delle lune di Giove, ChatGPT può scrivere articoli interi e originali di qualunque lunghezza su qualunque argomento. Gratis. Senz’altro una bella singolarità.
Da amministratore dei Fatti di SEO, una grossa community sui temi digital, pensavo di averne viste tante, ma il clima di spaesamento che si respirava a ridosso del capodanno 2023, fu qualcosa che non dimenticherò facilmente. Abbiamo assistito allo spettacolo cruento di web agency e copywriters freelance che facevano a pezzi le tecnologie di scrittura basate su intelligenza artificiale, fondamentalmente per il terrore palpabile di perdere clienti e vedere il fatturato crollare. Ho letto centinaia di post che dichiaravano inopinabilmente l’inefficacia di questi software che: commettono errori di sintassi, si inchiodano, offrono risposte banali, fuorvianti o proprio sbagliate. Ma la verità era rumorosamente lì ad aspettare che ci rassegnassimo ad essa.
La verità è che una volta impostato correttamente il prompt, vale a dire le indicazioni su cui lavorare, l’AI era in grado – con rapidissimi interventi di editing – di sviluppare testi migliori di quelli mediamente ben posizionati nei motori di ricerca. In una manciata di secondi.
Intanto in un post su Linkedin, OpenAI asseriva: «L’AI non ti sostituirà. Una persona che usa un’AI ti sostituirà». Severo, ma giusto.
Ora, quello che stai leggendo è un pezzo sulla scarsità di umanità prodotta dalle nuove tecnologie che in effetti al di là del testo possono produrre immagini, voci, musica, codice e chissà cos’altro, sbattendo per strada copy, grafici, videomakers, podcaster, programmatori, insomma, una nuova apocalisse “morbida”, del software.
Ma prima dell’introduzione di ChatGPT, quanta umanità c’era nei testi online? Non ce n’è in un approccio al web writing basato sul raccattare pezzi di paragrafi dalle pagine web meglio posizionate, per ricucirli insieme avendo (manco sempre) l’unica cura di cambiare qualche parola qua e là. Non c’è umanità nel lavoro di dare Google in pasto a se stesso. A seguito dell’arrivo degli alieni, queste persone perderanno il lavoro, non il mestiere, perché queste persone, il “mestiere” non ce l’hanno mai avuto.
Per dirla tutta, non c’è umanità neanche in un superiore che ti ordina di scrivere un articolo di 5000 battutein tre ore – compreso il data entry su WordPress – su di un argomento che non conosci. A queste condizioni un copy, per quanto bravo, sarà costretto a creare un mostro di Frankenstein, adottando le pratiche disumanizzanti descritte in precedenza.
Veloci o di fretta?
La velocità è una buona cosa, forse il frutto migliore della rivoluzione digitale. Oggi facciamo tutto più velocemente e se non credi sia così, pensa a quanto tempo serviva negli anni ’80 per ricevere a casa un ordine fatto su PostalMarket. Pensa a quanto tempo serviva solo per effettuarlo, l’ordine. Il problema è quando la velocità diventa fretta. Quando vedi così tante possibilità, soprattutto quando i sensi ti si annebbiano per tutte le informazioni che ti piovono addosso, puoi finire in preda al raptus da digitorrea, un termine che temo di essermi appena inventato per definire una pericolosa incontinenza digitale, da cui inizi a “sparare” fuori contenuti senza un perché e come se non ci fosse un domani, spesso sottovalutando il fatto di non avere l’esercito di copy necessario a fare un lavoro decente.
Ma giacché si può fare comunque in un modo o nell’altro e giacché (si è visto) Google sembra essere spesso piuttosto permissivo rispetto ai copy raffazzonati, purché ci siano contenuti nuovi da masticare, perché no.
È a partire da quel “perché no” e con il nullaosta di un motore di ricerca spesso di bocca buona, che il web si è riempito di rumore per decenni. È stato possibile perché i SEO più spregiudicati hanno sempre trovato modi nuovi per aggirare i meccanismi antispam, trovando l’interstizio in cui infilarsi, almeno per il tempo che serviva a far denari.
Abbiamo riempito il pianeta di spazzatura e abbiamo fatto lo stesso con l’internet, ma pur consapevoli di ciò, riusciamo solo a lamentarci del fatto che l’intelligenza artificiale ci farà perdere fatturato. Se è rimasta umanità, sembra composta da brutte persone, diciamolo.
Un nuovo patto per un nuovo internet
Se la tecnologia ci ha strappato via l’umanità dal cuore (e dalla penna), forse sarà proprio la tecnologia a restituircela. E forse questi tempi “singolari” sono quelli in cui tutto cambia davvero. E mentre qualcuno perderà il lavoro, tanti altri si adatteranno. E nella nuova alleanza tra uomo e macchina, compiranno meraviglie.
Più tempo passo a interrogare ChatGPT, trascurando la famiglia, il lavoro e gli amici, più mi rendo conto che è proprio il tempo la grande promessa che ci viene fatta da queste tecnologie. E il tempo è denaro. Ora il copy descritto in precedenza, costretto a scopiazzare brandelli di informazioni qua e là, perché gli viene imposto di scrivere uno “spiegone” in tre ore su un argomento di cui non sa nulla, potrà sperimentare nuovi approcci alla composizione del testo.
Ad esempio potrebbe dapprima chiedere alla macchina di individuare tutti i sotto argomenti (sub-topics) per il tema da trattare, oppure potrebbe utilizzare altri tools per la sub-topic research, come ad esempio Semrush che scandaglia le pagine di risposta di Google per cercare tutte le domande e le intestazioni pertinenti con una parola chiave inserita in ingresso. Oppure ancora, potrebbe chiedere direttamente a chi conosce l’argomento, quali siano i temi principali da trattare, facendo la classica telefonata che ti allunga la vita.
Una volta ricavati i sotto argomenti pertinenti e rilevanti, il nostro copy potrebbe interrogare l’AI su ciascuno di essi e una volta ottenuti gli output, metterli insieme dandogli la forma più corretta. Non solo quindi si riuscirebbe a scrivere un articolo su un argomento sconosciuto, ma lo si potrebbe fare anche in meno di tre ore. Non sarà il contenuto della vita, ma insomma, sempre meglio che giocare all’allegro chirurgo facendo taglia e cuci da internet.
Ora, l’imprenditore con quattro 4 copy a libro paga, si troverà a scegliere fra licenziarne due e produrre la stessa quantità di contenuti, o tenerli tutti e quattro, raddoppiando la produzione editoriale e tante volte migliorandone anche la qualità. Vista la bulimia di contenuti propria dell’internet e già dalle prime osservazioni su diversi segmenti di mercato, ho idea che nel futuro prossimo si andrà proprio in questa seconda direzione, incrementando in modo consistente l’offerta di informazione.
Sarà un bene o un male? Non è questa la domanda giusta da porsi. La questione piuttosto è, di tutta questa roboante accelerazione nei processi creativi, cosa intendiamo farcene? Sono passati mesi dalla diffusione di massa di queste tecnologie, eppure siamo ancora stupiti, perché sebbene sull’intelligenza artificiale si lavorasse già da almeno quindici anni, l’uomo della strada non si aspettava un impatto simile.
Un giorno il mondo cominciò a correre finché le persone non persero l’equilibrio e caddero tutte per terra. E da terra, mentre tutto tremava, videro le stelle.