C’è stato un tempo in rete in cui dopo le prime 100 lire investite per il sito web, veniva la SEO, ovvero il servizio di posizionamento di un sito web sui motori di ricerca. Nessuna velleità di traffico, nessuna riflessione su campi semantici e tematizzazioni, sane keyword e qualche buon link, ed il gioco era fatto. Google parlava poco, i SEO si facevano tollerare e, a meno di vaccate colossali, brucavano l’erba nel proprio recinto. Poi Google ha cominciato a disseminare qualche tagliola per i più furbi, e se ne sono andate alcune tecniche poco “a norma”, e col tempo via anche i comunicati stampa, i link comprati etc.. Un bagno di sangue per chi aveva sognato di prodottizzare il web marketing e di portare magari anche in borsa società più o meno commerciali con un’indole aggressiva verso le PMI di turno, sia essa il carroziere o l’arredatore. Poi venne il tempo dei “il SEO è morto” (non si è mai capito se SEO è maschio o femmina), anche questi troppo audaci becchini di una scienza in realtà mutata e mutevole ma cui non è ancora il caso di assegnare “la vanga d’oro” per i cultori di De Andrè. Tutti i pochi SEO bravi che conosco si sono evoluti in una di queste figure:
- Il tecnicone: è un SEO molto preparato che lavora di tool e a volte di file di log, si occupa soprattutto di pulizia del codice e struttura dei link, molto spesso di penalizzazioni
- Il website optimizator: è un SEO che ha abbandonato la purezza per darsi alle conversioni, all’usabilità e magari al pay per click, con eguale competenza. Non è il dragone di nessuna di queste scienze ma è un ottimo performance manager, di fondamentale importanza per siti come gli e-commerce, ad esempio
- Il pilota di Google: è una via di mezzo tra le prime due figure, meno concentrato sull’usabilità in senso stretto e più abile nel controllo, un analista di alto livello (che spazia da webmaster tools ad analytics senza disdegnare screaming frog e altri) che fornisce informazioni al project e content manager
- Il SEO content o Il link marketer: sono due figure opposte che hanno abbracciato solo una delle due metà della SEO moderna, il primo crede nella qualità del contenuto e lavora di relazioni e testi, magari di long tail, per far crescere il sito web. Il secondo “procura” in vari modi link al sito contando su una strategia di breve periodo e sul fatto che i link sembrano contare sempre di meno.. invece contano sempre un sacco
- L’adwords specialist: questa figura ha rinnegato la SEO perché troppo complessa, invendibile o non performante (a suo dire) e si occupa oggi di campagne di keyword advertising
Altri ex-seo hanno invece deciso di divenire web marketing manager o project manager, figure che prevedono una forte esperienza e quindi necessitano di un passato “di mani in pasta”. La verità è che oggi, complice la crisi, le aziende palesano una forte necessità di lead generation nel breve periodo e, al tempo stesso, investono le risorse dedicate all’organico e al lungo periodo (senza ovviamente avere chiara in testa la distinzione) nel social media e blog marketing. La SEO è rimasta al palo, schiacciata tra queste alternative a minor tasso di sbattimento. Il vantaggio che un buon progetto di SEO oggi può garantire è indubbio, è pur vero che rispetto ad un tempo la stregoneria è molto calata e le regole sono ben chiare, si tratta quindi di un processo iterativo di analisi ed intervento che non ha nulla di misterioso o romantico, ma si riduce a un gustoso foglio excel in cui contare le ore uomo. Vendere la SEO è sempre più difficile, comprarla è sempre meno interessante ma, nel lungo periodo, questa vecchia scienza può risultare ancora più che profeittevole. Pensateci.