La questione ambientale è un tema sempre più sentito, stagioni impazzite, mutamenti climatici, inquinamento sono temi che sentiamo continuamente. E sempre nell’accezione più negativa.
C’è chi invece, come la ricercatrice-artista (connubio strano ma affascinante) Jeremijenko invita a mettere l’accento si ciò che si può ancora fare invertendo la prospettiva con cui si guarda al problema.
Forse questa tematica si distanzia un po’ dal marketing puro ma quello che qui voglio raccontare è il dialogo tra il settore più innovativo delle nuove tecnologie con le questioni ambientali, condito il tutto con un bel po’ di arte allo stato puro.
Tutto questo si può trovare al BIT, Baureau of Inverse Technology, gruppo fondato da Natalie Jeremijenko nel 1991 con lo scopo di “raccogliere informazione e renderne evidente il significato per mettere poi tutto in pubblico dominio in genere attraverso dei kit con le istruzioni per fabbricare gli apparecchi da se”.
I progetti sono tanto affascinanti quanto strani e per questo gruppo e soprattutto per Natalie sono spesso cadute piogge di critiche. Alcune “invenzioni”: A North Adams nel Massachusetts sono stati fatti crescere alberi a testa in giù. Tree logic (1999) intendeva mostrare la relazione con la luce e la forza di gravità delle piante: mostrare, rendere comprensibili dati e informazioni è un must per un artista. Ancora, l’artista australiana ha pensato bene di inventare un dispositivo per curare i pesci del fiume Hundson: il dispositivo prevede l’impiego di un galleggiante a forma di tubo che si illumina al passare dei pesci così che i passanti li possano nutrire con sostanze disintossicanti.
Altri esperimenti techno-artistici: nell’area della Silicon Valley, una no-fly-zone, è stato fatto volare un aeroplanino giocattolo munito di telecamera; la propaganda antiterroristica americana con un’area dove segnalare le violazioni alle libertà civili; e un cagnolino giocattolo portato a spasso da adolescenti del Bronx, trasformato per l’occasione in rilevatore di sostanze tossiche. Forse fa sorridere ma il progetto è stato portato avanti da studenti di Yale, Cornell e dell’Università di San Diego.
Forse questi esperimenti rimarranno casi isolati ma è interessante notare due cose: il cambio di prospettiva con cui un problema serio come quello ambientale può essere analizzato ( e -per piccoli segmenti-risolto) con creatività e spirito positivo e la commistione tra aree prima inconciliabili: qualche post fa avevo parlato del caso della città artistica-tecnologica di Linz ma anche la “nostra” Venezia trovo che si muova in questo senso soprattutto in occasione della sua Biennale o della mostra del cinema.
Credo che nel futuro potremo sempre maggiormente confrontarsi con situazioni in cui il biologo e l’artista si stringono la mano, come l’architetto con il designer ..in un travaso di abilità e competenze che creeranno sempre ulteriori stimolo e che non potranno che far bene a tutti gli ambiti dell’economia..e della nostra vita di tutti i giorni.
Ilaria Paparella per marketingarena
Fonti: http://xdesign.ucsd.edu/
Ventiquattro