Ieri una persona che stimo molto, Antonio Lupetti, ha condiviso la foto che riporto in alto. La critica di base è assolutamente condivisibile, anche da chi come me con Farm ha un rapporto di collaborazione (metto subito il disclaimer cosi non ci capiamo male dopo). Giudicare la punta dell’iceberg però rischia di essere fuorviante. Quel giorno io c’ero, l’evento è stato conviviale e utile, di certo non elettrizzante per i giovanissimi. Non posso nascondere che vedere le tv intervistare Zaia piuttosto che gli startupper non mi ha fatto piacere, ma l’idea che un ecosistema del passato amoreggi con gli opinion leader del passato non mi preoccupa, anche se questi sono “ospiti” in una delle più grandi piattaforme di innovazione italiane, questo ultimo dato è innegabile. E allora che ci facevano i polverosi decisori in H-Farm? La realtà è una sola: il problema è che queste persone prendono decisioni, non la loro presenza ad un evento di conclusione di un percorso. Per cambiare le cose si passa da loro, piaccia o meno, ed io vedo un punto di discontinuità nel portare all’attenzione di questi mondi l’innovazione, le start up, il digitale, non ci vedo assolutamente una “leccata di piedi” che vi assicuro non appartenere a nessuno li dentro. L’illusione che senza strutture sociali ed economiche (le banche, le istituzioni, le amministrazioni locali) si possa cambiare un paese a mio avviso si chiama utopia. Anche a me questo non piace, ma è meglio un progetto verosimile col naso turato che l’illusione dei pirati che non cambieranno le cose.
Seconda critica emersa tra i 100 e più commenti che di certo alimenteranno il klout di Antonio, “H-Farm è l’area51 italiana, evento privato, cospirazione”. Altra cavolata. Fate un salto in campagna, entrate e bussate a una casetta, vi risponderanno. Sono passati almeno cinque anni da quando ho incontrato per la prima volta Zooppa, non c’era quasi nulla. Non c’era serra, non c’erano casette. Ma soprattutto non passa giorno in cui non si respiri la dentro un’aria di novità vera, di corporativismo estremo orientato al risultato, di orgoglio e senso di appartenenza. E questo è motivato dal fatto che da li passano quelli più bravi, le innovazioni arrivano prima, e gli imprenditori ci credono. Già, perché la terza critica è legata al denaro, un mondo fatato, ma chi mette i soldi? Come potete misurare in pizze la vostra produttività? Non sta a me rispondere, ma credo rimarranno delusi quelli che aspettano il prossimo Facebook in Italia, e lo aspettano in Farm. Cito Harvard Business Review di settembre2012, Di Fiore: “uno studio di Harvard Business School dimostra che negli ultimi venti anni il 50% delle nuove aziende Fortune500 è entrato nella prestigiosa graduatoria grazie a innovazioni di business model”, questo per dire che difficilmente il prossimo “boom” sarà un’innovazione di prodotto, dirompente e tecnologica. È lecito attendersi parecchie exit da H-Farm, o magari neanche una. Ma di certo è più sensato guardare alle nicchie di business che al “prossimo social network per studenti”.
Personalmente non mi interessa come fa i soldi Farm, però mi interessano gli invisibili dell’innovazione, quelli che di ore ne fanno tante, nei 364 giorni (anzi 363 visto che viene due volte l’anno) in cui il ministro non è in zona. Mi interessa rendere giustizia ai sogni di tante persone, e all’erogazione di formazione di altissimo livello di Digital Accademia dove oggi collaboro, le facili ironie rischiano di sembrare invidia se non motivate dai numeri. Non credo che H-Farm abbia mai dichiarato bramosie filantropiche o rivendicato la paternità dell’innovazione italiana, il low profile di tanti anni di lavoro sta pagando, ma questo non può togliere merito a chi lavora con passione ai propri progetti, cosi come tanti altri lo fanno a Milano, Roma, Napoli e nella cantina di casa propria. Ma se volete fare un giro in Farm provate alle dieci di sera, qualcuno vi aprirà. Poi, concordo chiudendo con Antonio, l’impegno per la prossima giornata col ministro potrebbe proprio essere quello di abbassare l’età media, ma non dimentichiamoci che questa è la punta dell’iceberg.