HomeBlogMarketing e ComunicazioneLa Gen Z: una complessità tutta da coinvolgere

La Gen Z: una complessità tutta da coinvolgere

L’incredibile Gen Z (i nati dopo il 1997 o tra i 9 e i 24 anni di oggi) così lontana dai Booomers ma anche dai Millenials per modo di pensare, agire, socializzare, acquistare può spaventare molti brand che desiderano mettersi in contatto con questa nuova tipologia di consumatori. Ma come fare? Come rendere i messaggi veramente attraenti e convincenti per questa generazione che è nata con le infinite opportunità di Internet fra le mani?

Certo, parlare di sola strategia sui social media o del blog nel sito web è decisamente insufficiente per arrivare a questi ragazzi che vivono online soprattutto per cercare nel mondo qualcuno che abbia la loro stessa passione e poterla condividere.

La forte tendenza di questa generazione è quella di abbandonare molte delle piattaforme social di massa per andare verso spazi online più piccoli e intimi per scambiarsi messaggi privati, connettersi a una micro-comunità o per partecipare a un’esperienza condivisa.

Incredibile pensare, per noi che non siamo della Gen Z, che dopo l’inizio della pandemia a Marzo 2020, i più grandi momenti culturali per catturare l’attenzione del pubblico giovane sono avvenuti su piattaforme digitali che non sono i social tradizionali:

  • Cinque concerti di Travis Scott all’interno del gioco Fortnite con la partecipazione di oltre 27 milioni di giocatori 
  • Una performance di due giorni del rapper Lil Nas X a novembre 2020 sulla piattaforma di gioco Roblox ha visto oltre 33 milioni di visualizzazioni

Non è un caso che molti luoghi di ritrovo digitali siano giochi o piattaforme che sono iniziati come luoghi di ritrovo per i giocatori. Il gioco, di fatto, è diventato un nuovo paradigma per l’interazione online.

Questi spazi digitali di ritrovo e interazione sono diventati un elemento che definisce non solo il modo in cui il pubblico della Generazione Z si connette, ma anche il modo in cui sperimentano e modellano la cultura in generale. Per questo motivo, non si possono più ignorare.

Il grosso problema? Non ci sono regole da seguire.

Molte piattaforme sono nuove, hanno regole di coinvolgimento del pubblico completamente diverse rispetto alle piattaforme social tradizionali e per progettare integrazioni del marchio con la piattaforma bisogna essere decisamente creativi e reattivi. 

Fortnite, piattaforma di gioco con oltre 350 milioni di account, è un pioniere nel mondo delle integrazioni dei brand con il gioco. La maggior parte delle partnership che stringe sono estremamente selettive, costruite ad hoc per dare al giocatore una esperienza tra brand e gioco assolutamente frictionless, inserendole proprio all’interno della modalità di gioco principale della piattaforma con ad esempio skin personalizzate (abiti per gli avatar dei giocatori) e elementi in edizione limitata all’interno del gioco.

Proprio su questo Bhaumik, fondatore di Roblox altra piattaforma digitale di gioco principalmente per ragazzi tra i 9 e i 12 anni, afferma: 

“Il fattore più importante, è che i marchi creino un’esperienza integrata naturale che non faccia sentire gli utenti come se fossero pubblicizzati. La Gen Z è così intelligente” … “Non hanno tolleranza per ciò che considerano un’esperienza ingombrante o non autentica”.

Lanciato nel 2011 e acquisito da Amazon nel 2014, Twitch è diventato popolare inizialmente come piattaforma in cui i giocatori potevano guadagnare denaro e accumulare seguito trasmettendo in live streaming le proprie sessioni di gioco. Dall’inizio della pandemia però la piattaforma ha visto un enorme aumento dell’utilizzo specialmente in categorie come musica, bellezza, fitness e cucina, che solidamente sono molto lontane dai giochi

I brand se vogliono approdare su Twich possono raggiungere gli utenti tramite video e annunci display utilizzando la piattaforma pubblicitaria di Amazon o collaborando con lo studio di partnership con i marchi di Twitch per creare annunci ed esperienze più personalizzati e irrompere sempre meno nel flusso di utilizzo dell’utente.

Quando poi si parla di Gen Z e di viralità ovviamente si parla di TikTok dove la Gen Z domina e guida le tendenze. 

TikTok ha la grande capacità di ospitare innumerevoli cluster di interessi in modo che ogni utente trovi la propria preferenza e l’algoritmo giocando su questo possa presentargli più contenuti di quella tipologia e rendere l’utente sempre più circondato di contenuti che ama e condivide. Il risultato: dare spazio a innumerevoli micro-comunità. Alcune piattaforme più “vecchie”, come Instagram, hanno nel tempo cercato di stringere il confine che differenziava i contenuti brandizzati e non, TikTok ha saputo sicuramente vincere questa battaglia molto meglio di altri, infatti i contenuti brandizzati sulla piattaforma sono spesso indistinguibili da quelli creati dall’utente. 

Questo però è anche grazie al supporto della piattaforma per gli inserzionisti che va da prodotti self-service come il marketplace di creators (che collega i marchi con i creatori di TikTok), ai suoi team di Creative Lab che aiutano i marchi a sviluppare creatività pubblicitarie senza mai però creare regole o standardizzazioni, la creatività è alla base di tutto. 

Spazi digitali dove i brand possono sperimentare modi nuovi e creativi per intercettare il loro target sono infiniti e sicuramente è questa una grande difficoltà nell’approccio a queste piattaforme, ognuna con un modo diverso di interagire, ma è qui che i brand hanno una reale opportunità di coltivare una relazione con la Gen Z.

Ma non è solo un tema di dove ma anche di come i brand comunicano.

La pandemia ha sicuramente cambiato molte carte in tavola, soprattutto nella Gen Z che è estremamente attenta alla Corporate Social Responsibility vedendoci qualcosa in più: le aziende non hanno la sola responsabilità delle loro azioni ma sono a loro volta influencer che devono prendere posizione per migliorare la società.  

Ovviamente questo non ha solo un impatto sociale ma anche economico per l’azienda. Un recente sondaggio sui consumatori al dettaglio ha rilevato che il 55% della Generazione Z ha indicato che la CRS di un’azienda influenza fortemente il loro comportamento di acquisto (rispetto a solo il 26% dei boomer). 

Michael Pankowski , chiede in un suo articolo ai marchi di agire oltre il semplice contenuto:

“Ogni marchio vuole salire sul treno dello scopo, ma molti di loro stanno semplicemente dicendo cose carine ma non fanno nulla” … “Se vuoi la fiducia della Generazione Z come marchio, dobbiamo vedere che stai legittimamente sostenendo le tue parole con le azioni”. 

E questo significa che le azioni intraprese da un brand debbano avere origini dall’interno, dalla cultura aziendale stessa che per prima sostiene queste cause e poi le comunica. Fare l’opposto significa perdere la fiducia di un consumatore che poi potrebbe legarsi al brand per davvero molto tempo. 

 
 
AUTORE

Elisa Moretto

Laureata in economia, appassionata di advertising e maniaca dei report. Adoro viaggiare con tenda e zaino in spalla. Disney's cartoon addicted.
 
 

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