HomeBlogMarketing e ComunicazioneIn Italia abbiamo ancora bisogno delle grandi aziende? Riflessioni sul rapporto tra innovazione e dimensione aziendale

In Italia abbiamo ancora bisogno delle grandi aziende? Riflessioni sul rapporto tra innovazione e dimensione aziendale

Scrivo da un treno, dove un controllore mi ha appena “intimato” di stare bene attento al fatto che questa non è la seconda classe. Ho pagato 4 euro in più per lavorare in pace e questo pregiudizio, per quanto garbato, non mi è piaciuto. Prima classe tra l’altro vuota, perché non pensare ad una promozione il sabato su questo “segmento”? Inutile lamentarsi. L’episodio mi ha però fatto riflettere su una cosa a mio avviso più interessante: la distanza tra questo controllore e chi stabilisce le regole del suo lavoro.

Grandi aziende come Trenitalia, ma anche tante realtà nel mondo delle telecomunicazioni, bancario e chi più ne ha più ne metta, scontano oggi un’inefficienza di fondo che non può essere dovuta solo all’inadeguatezza del prodotto o alla mancanza di spinta innovativa, pensiamo a tre esempi:

  • le banche mastodontiche “soffrono” di fronte ai nuovi ed agili player del mercato che propongono prodotti innovativi e una comunicazione più aggressiva
  • le aziende con una struttura distributiva fatta grossisti e dettaglianti si rendono conto che solo “saltando il canale” potranno scaricare a terra il proprio valore
  • il contesto competitivo on line ed off line vede forti difference in termini di leadership perché alcuni first mover on line stanno rosicando mercato ai leader off line o, peggio, altri setter rubano il mercato agli attuali detentori (pensiamo all’ufficio stampa digitale spesso presidiato da informatici o markettari più che dai giornalisti, che sarebbero titolati a farlo)

La risposta a questi problemi risiede probabilmente in tre parole: rete, disintermediazione, formazione. Le grandi aziende sono schiave della burocrazia, di strutture gerarchiche troppo complesse e di continue riorganizzazioni in cui è palese la mancanza di una visione e di una direzione, si è persa la bussola. Chi produce o trasforma è sempre più ingolosito da nuovi strumenti come l’e-commerce che permetteranno a breve di soddisfare il cliente fornendo lo stesso prodotto a un prezzo più basso con un margine più alto, di fatto tagliando fuori tanti negozi e attuali intermediari che non risultano più strategici per il mercato. I piccolissimi dovranno formarsi rapidamente per ripensare la propria offerta e strutturare il punto vendita come palinsesto di eventi e momenti consulenziali, la fornitura di prodotto è sempre più deputata al corriere espresso e paradossalmente i negozi delle nostra piazze richischiano di divenire la migliore vetrina di amazon

A mio avviso una soluzione c’è, e risiede nell’imprenditorialità di cui ognuno di noi deve farsi carico, all’interno di microreti la cui unione e commistione (anche e soprattutto temporanea) permetta di rispondere alle esigenze del mercato, sia su piccoli che su grandi progetti. Le grandi aziende fanno bene a tremare, ma se non reagiranno con una mentalità da piccole, probabilmente la festa durerà ancora per poco. La complessità e le fisiologiche e burocratiche perdite che i grandi business generano non sono più sopportabili, perché gli utenti finali non sono più pronti (e tanto polli da) a pagare il prezzo dell’altrui inefficienza.

Makers, start-up e professionisti 2.0, ora tocca a voi

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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