Negli ultimi anni le principali economie studiate ed insegnate all’università hanno lanciato segnali preoccupanti, sempre più spesso obbligate a forzare le ipotesi di base per continuare a spiegare i fenomeni che accadono nel mondo reale, arenate soprattutto attorno al concetto di razionalità totale dell’essere umano. Alcuni studiosi hanno deciso di mettere il naso fuori dal guscio dorato delle certezze per cercare di capire cosa sta succedendo davvero la fuori: termini come informazione, reti, conoscenza, hanno cominciato a stuzzicare i curiosi.
Con la complicità di internet alcuni autori hanno affermato senza paura che non è più il mondo a doversi adattare all’economia ma sono gli studiosi che devono adeguare i propri strumenti in alcuni casi inadatti (economia classica) o troppo teorici (matematica) alla realtà: nasce l’economia comportamentale. Paradossalmente tale scienza non muove da basi economiche ma è figlia di alcuni fisici come Richard Dawkins (autore de “il gene egoista”) o saggisti come Malcom Gladwell, vero precursore con il suo “punto critico”. Da Freakonomiks al Cigno Nero passando per Ubiquità, Nexus e Giocati dal caso, si arriva all’ultimo dei lavori sul tema: l’atomo sociale di Mark Buchanan.
Il punto nuovo che Buchanan porta è la visione dell’uomo come atomo (o molecola) e la collocazione delle persone all’interno di strutture complesse capaci di auto-organizzarsi. Il ragionamento per strutture porta a ripensare il comportamento collettivo, inteso non più come rinforzo di singoli atteggiamenti ma come processo autonomo che si realizza indipendentemente dalle persone coinvolte, legato alle situazioni che accadono e non agli attori che le interpretano. Interessante l’esempio che l’autore porta di studenti modello e pacifisti che, rinchiusi in una finta prigione e travestiti da militari arrivavano al sesto giorno di sperimentazione ad atti di sadismo contro quelli che fino a pochi giorni prima erano amici intimi, i prigionieri di turno (l’esperimento che doveva durare 14 giorni è stato interrotto al sesto perché fuori controllo). Il pensiero “per strutture” porta il concetto di “correlazione tra evento A ed evento B” su un piano nuovo, cerca infatti di comprendere le motivazioni profonde che innescano tali correlazioni e non si limita soltanto a registrarle.
Il nuovo punto di incontro dell’economia sembra quindi un mix tra biologia, fisica, statistica e scienze sociali, alla vecchia economia di certo resterà il fondamentale compito di raccontare i fenomeni “congiunturali” ma non c’è da stupirsi se un fisico spiega oggi “la mano invisibile” di Adam Smith con un parallelismo strutturale che accomuna le persone ai sassi di una grande prateria norvegese per introdurre concetti di auto-organizzazione presenti in natura e osservabili anche in azienda o tra le persone e nei mercati.
Questo nuovo filone di pensiero ben si integra con quelle strutture reticolari che A.L. Barabasi ha spiegato nel suo “Link: la scienza delle reti”. Il futuro sarà probabilmente di chi saprà scendere dal piedistallo delle teorie (e delle congetture) per tornare all’osservazione e alla sperimentazione, ma soprattutto di chi saprà guardare il mondo con occhi nuovi non fermandosi alle conclusione banali e intuitive che in un primo momento saltano in mente. Guidati dalle idee di Karl Popper tutti questi nuovi scienziati promuovono un’impostazione interessante perché vicina al mondo reale e interessata a fenomeni che riguardano le nostre giornate, come legittimare questi audaci autori di frontiera portandoli a testa alta nelle università per riscrivere l’economia che insegniamo?