Vedrete raramente comparire su questi schermi “nostri progetti” ma questa volta non possiamo farne a meno. Compilato il disclaimer, è tempo di affrontare un “vero tema vero”. È ormai chiaro ai più che dietro al tema del nuovo artigianato si nasconde una retorica rischiosa, che ha sostanzialmente due derive:
- la prima è insita nell’artigianalizzazione dell’industria. Prenedete il caso Grom, un business fatto per scalare, la cui exit su Unilever non è altro che la naturale evoluzione, un percorso che ci dice però che anche i big player piace pensare di mettere in discussione il mass market. Occhio però, è un fenomeno di sociologia dei consumi, non di passione di prodotto
- la seconda situazione è quella che vede il vero artigiano, il falegname, il fabbro, l’orologiaio, in qualche modo incastrato nel proprio business. Stupende produzioni ma nessuna comunicazione e racconto delle stesse. Un’introflessione che porta prodotti di eccellenza ad appassire in scaffali di non racconto
Non si può non dare atto a Stefano Micelli di aver portato alla ribalta col libro “Futuro Artigiano” il tema, consegnando al paese una via per la nuova artigianalità, anche sulla scorta di solidi osservatori internazionali come “l’uomo artigiano” di Sennett e “makers” di Anderson. E non si può non dare atto a realtà come Lino’s Type di aver recepito e scaricato a terra il concetto. Una storia stupenda, che è meglio raccontare a video:
Scopriamo quindi che gli ingredienti per trasformare in business un mestiere che ieri era “autosostenuto” sono il management, la comunicazione, ma soprattutto l’ibridazione con un contesto “glocal” con cui contaminarsi e contaminare per portare al mercato prodotti che rispondono al gusto odierno, se possibile tecnologicamente avanzati e connessi. E scopriamo che gli spazi sono parte di questa contaminazione, che uno spazio retail può ospitare un coworking e che i vantaggi economici derivanti da questa ibridazione sono reali e tangibili.
Manca solo un ingrediente: la scalabilità di questi progetti. Come creare 10, 100, 1000 lino’s type? Come renderli talmente sostenibili da essere elettivi per un maggior merito di credito bancario? Come fare di questi progetti le imprese di domani? Imprese che non chiudono, imprese che messe a sistema possano dare vita ad un’offerta paese varia, puntiforme, personalizzata, in poche parole italiana. Una banca ha abbracciato la sfida, ha chiesto a tutti gli attori citati di salire a bordo, ha coinvolto il più grande osservatorio sul mondo maker (qui qualche riflessione mia e di Stefano Micelli sul tema) e non solo italiano, Maker Faire Rome, ed ha dato vita al progetto Fare Impresa Futuro. La convinzione è quella che un format di scambio e racconto, chiamato Botteghe Digitali, possa dare vita ad un momento di grande incontro e scontro tra la cultura e il saper fare artigiano e competenze di management, marketing e innovazione, un momento da cui potrà emergere un punto di singolarità, una supernova che chiameremo nuova impresa digitale.
Il progetto è in realtà molto concreto, uno spazio di candidatura, una task force che entra in azienda e gratuitamente “la rivoluziona”, le storie migliori raccontate a video.
Il disegno è interessante: una banca “mette 2cents” sulla scommessa di intervenire “a monte” del problema per risolvere le difficoltà a valle, lo fa sposando l’unica causa che in realtà il nostro paese ha dimostrato di poter recepire per storia, tradizione e territorio, quella delle PMI del fare. A noi il racconto del progetto di racconto. Vi terremo aggiornati, keep in touch!