Fino a non molto tempo fa andava per la maggiore la tesi che la globalizzazione del mercato avrebbe messo fine all’impresa familiare. Molti sembravano i motivi: la perpetuazione di un assetto proprietario monocratico, a scapito dell’efficienza e della dinamicità, una riluttanza all’innovazione del vertice, poca capacità competitiva, forme paternalistiche nelle relazioni con i dipendenti.
A dispetto di tutto ciò, però, il family capitalism (dove una famiglia mantiene il controllo totale del capitale o una sua porzione così vasta da segnarne la rotta) continua ad essere vivo e vegeto anche nelle economie più avanzate e non mostra certo segni di cedimento. A questo punto è legittimo farsi delle domande su questa struttura aziendale.
Vorrei segnalare, a tale proposito, il libro di Andrea Colli “ Capitalismo familiare” edito dal Mulino, che ha intrapreso un’analisi comparativa a tutto campo delle tipologie e delle fortune delle imprese familiari per buona parte del 20’ secolo. Partendo dagli aspetti base, Colli riconosce, come già si sapeva, la pervasività di questa forma d’impresa nelle fasi di avvio del processo di industrializzazione e il suo contributo determinante alla diffusione della basa produttiva.
Più interessante la lettura degli sviluppi recenti. In pratica, gli ingredienti che ai giorni nostri concorrono a fare di questa forma di capitalismo una componente di rilievo del sistema economico si possono sintetizzare in due elementi.
Da una parte il fatto che un’impresa familiare, poiché principale fonte di reddito per i suoi titolari, è portata, per sua natura, a privilegiare con ogni forza il proprio mantenimento in vita, agendo secondo culture e strategie aziendali intese ad assicurare la stabilità di fronte alle incertezze e alle diverse congiunture del mercato.
Dall’altra parte il fatto che, in quanto pensata in modo tale da operare in stretta aderenza con chi ne detiene la proprietà, può contare sulla rapidità e flessibilità decisionale del vertice e su una politica finanziaria basata soprattutto sull’autofinanziamento indipendentemente da condizionamenti esterni.
Più interessante la lettura degli sviluppi recenti. In pratica, gli ingredienti che ai giorni nostri concorrono a fare di questa forma di capitalismo una componente di rilievo del sistema economico si possono sintetizzare in due elementi.
Da una parte il fatto che un’impresa familiare, poiché principale fonte di reddito per i suoi titolari, è portata, per sua natura, a privilegiare con ogni forza il proprio mantenimento in vita, agendo secondo culture e strategie aziendali intese ad assicurare la stabilità di fronte alle incertezze e alle diverse congiunture del mercato.
Dall’altra parte il fatto che, in quanto pensata in modo tale da operare in stretta aderenza con chi ne detiene la proprietà, può contare sulla rapidità e flessibilità decisionale del vertice e su una politica finanziaria basata soprattutto sull’autofinanziamento indipendentemente da condizionamenti esterni.
Una precisazione è d’obbligo: non è comunque detto che questi elementi portino direttamente a vantaggi economici e di stabilità perché, proprio essi, possono alle volte trasformarsi in fattori di criticità.
La continuità dell’impresa familiare dipende infatti dalla forza e dalla validità della transazione tra generazioni e questo passaggio è molto spesso il fattore più difficoltoso nella vita di un’impresa; inoltre poi le risoluzioni di chi ha in mano la proprietà dell’azienda, se da un lato sono più veloci e agili, dall’altra parte non hanno il supporto di determinate competenze che hanno invece quelle che vengono assunte in aziende con una leadership manageriale.
Per quanto riguarda il finanziamento prevalente con fondi propri, rappresenta in molti casi un vincolo alla crescita dimensionale dell’impresa. Per quanto riguarda infine l’opinione pubblica, non è scontato che essa sia sempre ben disposta verso questa forma di capitalismo e a volte, se c’è, può, contribueire alla resistenza a cambiamenti di prospettiva.
La continuità dell’impresa familiare dipende infatti dalla forza e dalla validità della transazione tra generazioni e questo passaggio è molto spesso il fattore più difficoltoso nella vita di un’impresa; inoltre poi le risoluzioni di chi ha in mano la proprietà dell’azienda, se da un lato sono più veloci e agili, dall’altra parte non hanno il supporto di determinate competenze che hanno invece quelle che vengono assunte in aziende con una leadership manageriale.
Per quanto riguarda il finanziamento prevalente con fondi propri, rappresenta in molti casi un vincolo alla crescita dimensionale dell’impresa. Per quanto riguarda infine l’opinione pubblica, non è scontato che essa sia sempre ben disposta verso questa forma di capitalismo e a volte, se c’è, può, contribueire alla resistenza a cambiamenti di prospettiva.
Insomma, numerosi sono i rischi per l’impresa familiare, ma resta il fatto che continua a dimostrare vitalità e capacità di adattamento di fronte alle trasformazioni in atto e questo lo si può vedere soprattutto nel nostro Paese. Pur tenendo conto dei vari eventi susseguitesi nel tempo, il capitalismo familiare (rappresentato non solo da una miriade di piccole e piccolissime aziende) è tuttora un fenomeno preminente in ogni segmento di attività, e in maniera molto più estesa rispetto ad altri paesi europei, tanto da costituire una caratteristica strutturale dell’economia italiana che potrà resistere se sarà capace di dimostrare di vincere le sfide del mercato attrezzandosi adeguatamente.
In questo conteso le relazioni di rete, tanto forti nei “nostri” distretti industriali, potrebbero attenuare i fattori di rischio mantenendo inalterata la flessibilità organizzativa e la ferma volontà di sopravvivenza. Siete d’accordo?
In questo conteso le relazioni di rete, tanto forti nei “nostri” distretti industriali, potrebbero attenuare i fattori di rischio mantenendo inalterata la flessibilità organizzativa e la ferma volontà di sopravvivenza. Siete d’accordo?
Ilaria Paparella per marketingarena
Fonti
Il sole 24 Ore
Andrea Colli “capitalismo familiare”, il Mulino, Bologna