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E anche i luoghi del consumo se ne vanno…

Ho letto spesso, e mi hanno insegnato, che oggi i nuovi luoghi di consumo si sono spostati, che se un tempo erano anche in Italia ora li troviamo tutti all’estero, nei paesi emergenti e in quelli, ovviamente, più innovativi… ma guardando la tv ieri sera mi è venuto da pensare se tutto questo abbia un senso…
Ho imparato che se oggi vogliamo costruire dei buoni, e belli, scarponi da scii non possiamo stare solo a Montebelluna (TV), dove esiste il famoso distretto dello sport system e quindi anche della scarpa sportiva, ho imparato che le aziende di quel luogo devono cominciare a investire diversamente, devono internazionalizzarsi, entrare nei circuiti mondiali della tecnologia e del design, e mi hanno insegnato che questo è un discorso sensato e che alcuni già seguono questa filosofia…
Dai libri che ho letto si evince chiaramente che il modello distrettuale non sta morendo ma sta cambiando: si sta evolvendo in una sorta di “meta-distretto” che sa conciliare le conoscenze insite nel territorio con le conoscenze codificate dell’internazionalizzazione e dell’innovazione…
Il discorso è convincente e non ho ovviamente nulla da criticare perché chi me lo ha trasmesso sa indubbiamente quello che dice, ma mi viene da pensare come sia possibile che ci siano sfuggiti così tanti primati, in termini di ambienti di consumo, come mai non abbiamo saputo adeguarci ai tempi?

Siamo sempre stati un Paese di esploratori e di viaggiatori e le idee non ci sono mai mancate… e allora perché se vogliamo produrre scarponi e tute da moto siamo costretti ad andare in California? Perché se vogliamo produrre scarponi da scii dobbiamo andare in Colorado? La risposta è tanto immediata quanto semplice: siamo un popolo di “vecchi”, se vogliamo costruire moto, e accessori per queste, dobbiamo incontrare chi in moto ci va veramente, chi ha la follia nel sangue e sa dettare quelle nuove tendenze che poi si trasformano in potere di mercato e leadership mondiale… se vogliamo fare uno scarpone da scii di alto design dobbiamo metterci in relazione con chi ci lavora veramente, e allora ecco perché si va a “studiare” gli snowboadisti americani…
Diciamo che forse in un discorso del genere, per quanto io lo abbia esaltato, non si trovano molte cose che non siano vere ma… ieri sera… pensandoci… mi è venuto un dubbio: i campioni mondiali del motociclismo sono anche, e soprattutto, italiani, ma non solo in Moto GP, lo sono anche in SuperBike, nella MotoCross, nei campionati Juniores, nei 125cc, nei 250 cc e, tanto per restare in tema di motori, nella Formula 1, nel Rally e in tutto quello che non mi viene in mente… e non sono campioncini, sono spesso dei fenomeni, talenti unici che, probabilmente resteranno nella storia…
Se poi parliamo anche di moto non possiamo non pensare a Ducati, che sta stravincendo alla grande (anche se il pilota che vince non è italiano L ) o Aprilia che ha avuto e continua ad avere successi anche nelle categorie più basse… e allora? Mi chiedo: ma come è possibile? Se è vero che siamo “vecchi” non dovremmo avere questi fenomeni… dovremmo dire che non ci rappresentano? Non avrebbe senso forse… alla domanda non so rispondere sinceramente…
Sono convinto che i luoghi del consumo si siano spostati ma trovo ci sia anche un’incongruenza (sociale?)… forse ci sono sfuggiti, forse anche i nostri campioni sono oramai campioni mondiali, internazionalizzati, chiamarli italiani magari è riduttivo… o forse non abbiamo investito abbastanza per valorizzare le nostre risorse, i nostri giovani: credo che gli italiano siano un popolo che sa rinascere dalle ceneri, credo sia un insieme di persone che sa cambiare alle esigenze e capire i gusti del mondo, ma forse il problema è che non ci crediamo abbastanza.
La mia fede è che qualcuno si svegli, che si cominci ad investire a Venezia come nuova capitale del Design e della tecnologia, a Torino con Arte e motori, a Milano con la moda o in mille altri posti con mille altre cose… bisogna incentivare i giovani a stare assieme, globalmente, a creare circuiti internazionali di scambio culturale… bisogna convincersi che se si riesce a creare un polo aperto al mondo e attrattore di arte, tecnologia, cultura, ecc allora si promuove anche lo scambio culturale, l’innovazione, “pane per le aziende” e tutto quello che ci va dietro… bisogna… bisogna… bisogna…

Stefano Guerra

 
 
 
 

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