HomeBlogMarketing e ComunicazioneCosa dobbiamo sapere sul Growth Hacking: la parola all’esperta

Cosa dobbiamo sapere sul Growth Hacking: la parola all’esperta

Ti definisci appassionato di start-up ma non hai ancora messo le ‘mani in pasta’?
Product Development e Marketing ti affascinano, ma hai mille dubbi sulla strategia?
Forse hai bisogno di uno scossone. O forse di una guida che ti convinca che stai intraprendendo la strada giusta (o anche il contrario, perché no!)

Oggi te ne proponiamo una,uno dei primi libri in italia sul Growth Hacking, un bestseller edito da Hoepli che combina un approccio pratico e completo ad un vero e proprio metodo di crescita e sviluppo dei business: Startup Marketing di Alessia Camera, Digital Strategist e consulente di start-up marketing italiana che vive a Londra. 

Startup Marketing, Strategie di Growth Hacking per sviluppare il vostro business rappresenta infatti una guida pratica, completa e ricca di esempi per accompagnare founder, responsabili di marketing e professionisti del settore a sviluppare strategie di marketing.
Non volendo perderci nemmeno un tassello del marketing ai tempi del digitale, tra una corsa e l’altra siamo riusciti a fare 4 domande all’autrice. Ecco qui cosa ci ha risposto.

  1. Quali esperienze ti hanno portato ad appassionarti al mondo delle Startup e al Growth Hacking? Quando sono arrivata a Londra, ormai più di 5 anni fa, volevo rimboccarmi le maniche e collaborare attivamente allo sviluppo di progetti tecnologici mettendomi in gioco in prima persona. Così ho iniziato a esplorare il mondo tech e a lavorare con una startup come Digital Marketing Manager, occupandomi di Growth Hacking ancora prima di sapere che lo fosse!
    Ero stata assunta per sviluppare la strategia di social media marketing di un e-commerce di arredamento sostenibile ma mi sono subito ritrovata a mettere assieme una serie di esperimenti che venivano approvati solo quando i risultati erano allineati a delle metriche (KPI) che avevo concordato con il mio capo di allora. Lui non ne sapeva moltissimo di canali social ma era molto focalizzato sulle metriche e sui dati, così sono riuscita a costruire un approccio che combinasse entrambi: solo in un secondo momento ho scoperto che quel metodo era il Growth Hacking!
    In una startup digitale si opera, infatti, automaticamente e per definizione in una situazione di incertezza, budget limitato e KPI collegati ad obiettivi di crescita. 

    Quando poi nel 2014 sono andata a una delle prime conferenze sul Growth Hacking a Londra e ho fondato
    un mio primo progetto per creare una serie di conferenze per le startup, ho capito che effettivamente il mio approccio e il mio modo di operare erano essenzialmente quelli di Growth Hacking. E da quel momento ho continuato a leggere, imparare, mettere in pratica, sperimentare, sviluppando un approccio e una metodologia che sono diventate essenziali per me. Oggi, se non lavoro a un progetto applicando un metodo sperimentale orientato ai dati, focalizzandomi sull’utente e sull’ottimizzazione del prodotto preferisco non iniziare nemmeno.
    Nel mio libro, Startup Marketing, ho potuto inserire tutto quello che ho imparato, visto e applicato in questo periodo a Londra per condividerlo con il mio Paese di origine.
  2. Come racconteresti, in poche righe, quello di cui ti occupi ad un ragazzo del primo anno di Università? Il Growth Hacking è un approccio, una metodologia che rappresenta l’evoluzione del marketing digitale. Ci sono alcuni elementi totalmente diversi rispetto al marketing che studiamo all’università, ossia quello che tradizionalmente ha come sinonimo promozione e pubblicità.
    La prima differenza: non si parte più dalla pubblicità ma dal prodotto. Non si parte più dall’idea che il prodotto o una strategia siano la migliore soluzione possibile a priori, solo perché è una nostra idea, perché ci siamo chiusi in azienda e per mesi li abbiamo sviluppati e pianificati. Fare marketing non significa più promuovere un prodotto ma crearlo e svilupparlo.
    Nel Growth Hacking il prodotto diventa parte attiva di un processo di ottimizzazione continua dove i marketers lavorano fianco a fianco con gli ingegneri per creare il miglior prodotto possibile per gli acquirenti.
    La seconda: il Growth Hacking abbina gli utenti al prodotto in modo attivo. Il “prodotto migliore” non viene deciso a priori dall’azienda, ma diventa l’output di un processo che inizia con lo sviluppo e il lancio di una versione base del prodotto, una beta, che vieni poi arricchita grazie ad analisi quantitative e qualitative degli utenti. L’analisi di mercato e di posizionamento, lo studio di brand e i focus group non sono attività da svolgere solo una volta che il prodotto è sul mercato ma entrano a far parte della strategia del prodotto beta: quanto più l’utente parteciperà allo sviluppo del prodotto, quanto più saremo sicuri di sviluppare una soluzione ottimale per loro.
    La terza: gli utenti non sanno cosa vogliono (e tu non sai qual è la strategia migliore), quindi è necessario sperimentare.
    La sperimentazione è un’attività implicita in un processo di Growth Hacking poichè solo i dati sono in grado di farci capire cosa funziona e cosa invece dobbiamo cambiare affinchè gli utenti continuino a utilizzare il prodotto nel tempo. Parliamo inoltre di metodo sperimentale quando dobbiamo scegliere i canali, il claim, i contenuti, le campagne promozionali: come facciamo a essere sicuri che quel canale ci dia i risultati che ci prefiggiamo senza prima fare dei test numerici e qualitativi?
    In un contesto dove i canali online e offline sono sempre più saturi, l’attenzione degli utenti è sempre più scarsa, c’è sempre maggiore incertezza per i repentini cambiamenti tecnologici e c’è la necessità di crescere e raggiungere certe metriche e obiettivi aziendali sempre più in fretta, senza lasciare inesplorata nessuna opportunità, sono convinta che il Growth Hacking sia il marketing digitale del futuro. 🙂

  3. Nel tuo libro consigli di strutturare il progetto dal punto di vista del marketing fin dall’inizio, perché la viralità è integrata nel prodotto: ma come fare quando il prodotto non è tech?
    Se il prodotto è ben sviluppato ed è stato creato secondo l’approccio di Growth Hacking, facendo leva su esigenze e analizzando gli aspetti psicologico-comportamentali degli acquirenti, sicuramente stimolerà il passaparola di per sè, indipendentemente dal fatto che sia tech oppure no. Ovviamente, i social media amplificano moltissimo l’aspetto virale, soprattutto se un prodotto è digitale, e riducono notevolmente i tempi di sviluppo e ottimizzazione.
    Se il prodotto non è tech, bisogna pensare ad altre leve che possano stimolare il passaparola come il contesto di utilizzo o di acquisto, il packaging, il prezzo. Sono le nostre solite 4P del marketing da pensare in un’ottica di viralità: per esempio il packaging qui a Londra è di vitale importanza come leva, sia per l’acquisto sia per la creazione di strategie virali. Si tratta di far leva inoltre su aspetti psicologici dell’utente, situazioni di rabbia, noia, gioco, demenzialità sviluppando funzionalità o caratteristiche insite nel prodotto stesso.
    Io credo fortemente che in futuro la differenza tra prodotto fisico/digitale non sarà più così marcata e potremo quindi considerare delle strategie che colpiranno sia l’esperienza online che offline del prodotto.
  4. Quali progetti hai per il futuro?
    Dopo aver passato un bel po’ di tempo come consulente, mi piacerebbe pensare e sviluppare qualcosa di mio. Sto avendo tantissime soddisfazioni dai feedback e dalle vendite di Startup Marketing e credo che un progetto mio completerebbe in misura ancora maggiore il mio percorso professionale di crescita, apprendimento e ottimizzazione continua.
 
 
AUTORE

Giulia Brigato

PR di natura e social da My Space, per passione mi occupo di interior design e di eventi. Dipendente dalle cuffiette, viaggio in sella ad una bici da corsa vintage rosa.
 
 

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