Dal 2010 anche Starbucks si è convertito alla filosofia green: uno alla volta sta (ri)costruendo i suoi caffè cercando di ridurre al minimo l’impatto ambientale attraverso la scelta di specifici materiali, ma anche usando particolari metodi di costruzione sia dell’edificio in sé che dell’impianto di illuminazione.
Insomma, l’idea è curare al massimo ogni dettaglio, non lasciarsi sfuggire niente. Proprio per questo si è scelto di seguire il programma della US Green Building Council, un’associazione no profit che fa parte della rete internazionale Green Building Council (GBC) – presente anche in Italia – che si occupa di “favorire e accelerare la diffusione di una cultura edilizia sostenibile, guidando la trasformazione del mercato”, “sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni sull’impatto che le modalità di progettazione e costruzione degli edifici hanno sulla qualità ella vita dei cittadini” e “fornire parametri di riferimento agli operatori del settore”. Detto ciò, quindi, è evidente che Starbucks sta puntando tutto su marketing e comunicazione ambientale. Ma non è questa, ovviamente, la novità.
Infatti, sono ormai tanti i brand che decidono di sposare la “buona causa” per avere gli occhi puntati addosso, però Starbucks fa qualcosa in più: mette in atto una vera e propria strategia di glocalizzazione: non quella “alla McDonald’s” in cui ci si limita promuovere un panino fatto-con-carne-italiana (forse), ma progettando e costruendo i propri spazi riportando in auge la storia, il passato della città in cui si trova il punto vendita.
Non solo, per fare questo oltre a usare materiali del posto vengono coinvolti professionisti locali: ingegneri, designer, artisti della città (o della zona) in grado così di rispecchiare al meglio lo spirito autoctono. Insomma, si cerca di dare un aiuto anche all’impresa.
Ad ora Starbucks conta negozi realizzati seguendo questo concept in 17 Paesi; l’ultimo è stato inaugurato nel quartiere francese di New Orleans, un caffè progettato immaginando d’essere un commerciante della Lusiana dei primi del 900.
Nella prima stanza – dove il padrone avrebbe lavorato – si incontra un bancone simile a quelli presenti nei vecchi negozi degli speziali; dietro questo c’è una parete di scaffali che va dal soffitto al pavimento. I lampadari sono stati costruiti da David Borgerding, scultore locale che ha usato ferro battuto ripreso da vecchi cancelli per rendere onore alle radici commerciali della città, mentre un altro artista del posto ha creato piccole tele con chicchi di caffè posizionate sopra le mensole.
CherryLion – studio specializzato nella realizzazione di sculture personalizzate – ha, invece, prodotto 12 bassorilievi che narrano la storia della produzione del caffè, dal chicco alla tazza.
All’opposto, la stanza che si trova sul retro vorrebbe riprodurre quello che era il luogo di riposo del commerciante offrendo un’atmosfera molto più rilassante. Al centro c’è un grande tavolo circondato da 12 sedie in legno – simili a quelle che si potevano trovare dietro i banchi di scuola – che permette di lavorare con tranquillità e a contatto con gli altri ospiti. Dietro di esso è appeso un dipinto a muro realizzato da Tommy Taylor, artista di Atlanta, che riproduce la sirena di Starbucks e rende omaggio all’eredità navale della città. Infine non poteva mancare la musica, il ricordo delle origini jazz: proprio al soffitto di questa stanza il lampadario è stato creato usando trombe d’epoca.
Insomma, questo negozio è semplicemente l’ultimo di una serie “work in progress” di locali in cui si cerca di (ri)mettere le radici sul territorio, nel vero senso della parola.