Qualche tempo fa ho scoperto con piacere che tra i vari progetti paralleli di Google vi era Google Art Project, un’affascinante funzionalità che consente oggi di esplorare 151 musei di 40 paesi nel mondo e 30.000 opere, con un semplice clic.
Sfruttando la tecnologia Street View, alcuni sviluppatori di Google hanno ideato quest’originale strumento che permette di visitare virtualmente le sale di alcuni dei musei più importanti del mondo, tra cui il Moma, la National Gallery, il museo Van Gogh, gli Uffizi e i Musei Capitolini, il Palazzo di Versailles o l’Hermitage, oltre a luoghi d’arte “insoliti”, come la Casa Bianca, i graffiti di strada brasiliani e antiche incisioni rupestri in Sud Africa, comodamente seduti davanti al proprio pc.
Con “Esplora e Scopri” è possibile fare una ricerca per museo o per artista, applicando anche alcuni filtri, e a questo punto ci si potrà muovere virtualmente all’interno degli spazi museali, selezionando le opere che ci interessano e zoomando le immagini per scoprirne i dettagli più nascosti (le immagini sono state fotografate in alta risoluzione con la tecnologia “gigapixel”, garantendo una qualità 1000 volte più dettagliata rispetto a quella ottenibile con una normale macchina fotografica digitale). Gli appassionati possono inoltre espandere il pannello delle informazioni e conoscere dettagli e storia delle opere grazie ad alcuni approfondimenti messi a disposizione o guardare dei video di YouTube collegati. Non manca poi la parte social, con “La mia galleria” è infatti possibile creare una propria galleria di opere preferite, aggiungendovi commenti e video, e poi condividerla con gli amici su Google Plus.
Essendo un’amante dell’arte, questo progetto mi ha impressionato favorevolmente e mi son messa a pensare a come il web potrebbe aiutare i musei a riavvicinarsi alle persone. Facendo un po’ di ricerche on line, ho scoperto come, in realtà, molti istituti hanno già captato le enormi potenzialità offerte dai social network per rendere l’arte coinvolgente.
Vediamo alcune best practice e cerchiamo di trarre qualche considerazione su come utilizzare i social network in quest’ambito.
Estremamente attivo on line, il Brooklyn Museum unisce ai contenuti istituzionali, organizzati in maniera molto chiara e pulita, numerosi contenuti multimediali e la presenza sui principali social network, tra cui YouTube, Flickr e Foursquare, contando ad oggi circa 56.500 fan su FB, 353.000 follower su Twitter e 12.900 follower su Instagram. A seconda della mostra è possibile infatti trovare diverse sezioni “Media, Talk e Print”, che propongono video, slideshow, applicazioni di engagement (come in questo caso, in cui si invita a documentare l’offerta di un fiore a uno sconosciuto), foto e uno spazio per i commenti degli utenti.
Ogni strumento presenta dei contenuti personalizzati, declinati in base alle caratteristiche del canale, e ciascuno di essi diventa il mezzo per comunicare sinergicamente ai follower e per coinvolgerli nella vita del museo, ma anche in quella della comunità. Estremamente interessante è infatti l’idea, avuta dal museo nel 2008, di stimolare delle pratiche collaborative in cui si integrino il web e la realtà: in quell’occasione il museo organizzò un’esposizione dal titolo: “Changing Faces of Brooklyn” in cui si invitavano giovani artisti locali a caricare i propri lavori on line e la selezione delle opere che poi sarebbero state esposte fu affidata alla community online che poteva dare preferenze e partecipare al processo curatoriale.
Diverso per tradizione e dimensioni, il Tate, accanto ai brand dei suoi musei (Britain, Modern, Liverpool e Saint Ives), ha creato un marchio “cappello” che comunica moltissimo con gli appassionati che lo seguono attivamente (611.00 follower su Twitter e 365.00 fan su Facebook, per citare qualche numero). Il Tate dà così tanta importanza alla comunicazione sul web che sul sito è addirittura possibile leggere la strategia on line adottata nel triennio 2010-2012. Il museo stimola continuamente i propri “adepti”, alimentando e sostenendo i trend, incoraggiando la creatività dei fan. Tra i progetti che più mi hanno colpito: Tate Collectives, Tate Kids e Tate Movie Project. Il primo è uno spazio in cui giovani artisti (ma non solo) possono ispirarsi a vicenda, discutere d’arte e caricare i propri lavori on line, oltre a incontrarsi dal vivo con eventi speciali per scambiarsi idee. Tate Kids è invece un’iniziativa legata ai più piccoli: giochi, video, blog e molto altro, tutto è pensato per coinvolgere i bambini nel mondo dell’arte, dando spunti e spazi per lasciare esprimere la creatività dei piccoli utenti. Risultato del Tate Movie Project è “The Itch of the Golden Nit”, un video animato di 30 minuti creato a partire da circa 2000 idee e disegni raccolti tra bambini dai 5 ai 13 anni, il cui finale è stato scelto, votando on line, proprio dai baby artisti. La sala di registrazione on line ha ricevuto nel corso di un anno oltre 500.000 visite e il Tate ha tenuto workshop nelle proprie gallerie, ma anche nelle scuole di tutto il Regno Unito per incoraggiare i bambini ad ispirarsi all’arte per i propri disegni e storie.
Altro caso interessante è quello del MART di Rovereto (TN), unico museo italiano ad aver partecipato a #askcurator, evento su Twitter del settembre 2010 in cui 340 musei in tutto il mondo si sono incontrati on line per rispondere alle domande di visitatori e appassionati. Assieme a pochi altri musei italiani, tutti di arte contemporanea, il MART rappresenta un buon esempio di utilizzo strategico dei social network (conta circa 33.500 fan su FB e 5.400 su Twitter): la community infatti viene continuamente stimolata con immagini dietro le quinte o delle attività che si svolgono, viene invitata a pubblicare commenti e contenuti legati alla propria esperienza al museo, ma anche alla propria idea di arte, oltre a esser messa a conoscenza delle tante iniziative collaterali che si svolgono nel centro. L’elemento di forza dell’attiva social del MART, secondo me, è la capacità di creare e alimentare la conversazione con i propri fan non solo intorno alla realtà del museo, ma all’intera cultura dell’arte, favorendo la contaminazione tra attività virtuali e reali, facendoci sentire tutti un po’ artisti.
Quali sono dunque le azioni che i musei possono attivare on line per creare un ampio parterre di sostenitori? Come lo dimostrano gli esempi qui sopra, sono infinite: si va dall’artsharing, alla creazione di contest o di blog dove gli utenti possano discutere, alla produzione di video che mostrino “lati nascosti” degli artisti e delle mostre, fino alla promozione di attività didattiche. Insomma si può dire che il web può aiutare i musei a riconsiderarsi e proporsi con una nuova veste: il museo non è più infatti solo luogo di conservazione delle opere, ma diventa uno spazio di condivisione, di narrazione e partecipazione. Le attività on line consentono di generare una comunità attorno al museo, di rendere viva l’esperienza nella mente dei visitatori e di stimolare i potenziali visitatori all’azione; ma permette anche di creare un nuovo museo, non una riproduzione di quello fisico, in cui ciascuno di noi è allo stesso tempo utilizzatore e creatore di esperienze artistiche.