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I creativi e la cultura: quali sviluppi?

Su Firstdraft è nata un’interessante discussione intorno al tema della creatività. I punti che sono emersi sono sostanzialmente tre ed avrei piacere di condividerli con la speranza che possano emergere spunti e riflessioni interessanti anche nel campo della comunicazione e del marketing.
· In Europa (rapporto Eurostat) lavorano oggi nel campo culturale quasi 5 milioni di persone, ovvero il 2,4% della forza lavoro attiva nei 27 paesi. Il parametro varia: in Romania e Portogallo il valore scende rispettivamente all’1,1% e all’1,4%. In Finlandia e in Svezia si attesta su valori superiori al 3%; nei Paesi Bassi arriva addirittura il 3,8%. La percentuale dell’Italia supera appena il 2% , decisamente inferiore alle sue effettive potenzialità. A questi dai se ne sommano altri che ancora una volta sottolineano un mancato sviluppo italiano nelle posizioni dell’economia immateriale anche dal punto di vista contrattuale (qui la fa da padrone il lavoro “precario”)
· I creativi rivendicano sempre più una posizione attiva e protagonista nella società, si considerano meno “geni ribelli fuori dal sistema” e sempre più veri imprenditori dotati di una certa propensione in grado di dare risposte a problemi complessi. Proprio alla luce di questo si nota una certa avversione verso il tentativo di standardizzare le attività creative all’interno di albi professionali ad hoc.
· Il ruolo del design nella società contemporanea non è più di produrre oggetti per una elite di consumatori, ma è quello esprimere una singolarità, una specificità attraverso il racconto di una storia (cit Roberto Masiero). Le storie, però necessitano di luoghi per essere credibili, ed ecco che borghi, città, distretti, territori, ripensati e rinnovati, diventano scenari importanti in cui il racconto trova la sua concretizzazione.

Volendo tracciare una direzione unitaria alla luce di questi tre aspetti( anche se scarna), si può affermare che si manifesta la necessità di prendere coscienza dell’importanza della cultura come elemento di sviluppo e di crescita sia professionale che dell’intero territorio nazionale.Il nostro Paese con il proprio patrimonio artistico e culturale potrebbe molto in questa sfida ma spesso l’isolamento della cultura o la sua interpretazione come pura conservazione non aiuta nuove di imprenditorialità. Pensare piuttosto alla cultura come elemento tangibile in ogni luogo e in ogni tempo potrebbe aiutare noi giovani (ma anche le istituzioni) a guardare il mondo e le opportunità di lavoro (oltre che di vita) in maniera totalmente rinnovata e quindi vincente, magari mettendo anche da parte l’utopia del “posto fisso” in nome della passione che può venire dal fare ciò che piace con ambizione e professionalità.
Forse in campo strettamente culturale sarà difficile pensare a forme contrattuali indeterminate ma innanzitutto sono finiti i tempi in cui chi “fa cultura” può lavorare solo in ambienti isolati a” lei dedicati” e inoltre, proprio una nuova consapevolezza dell’instabilità dei lavori creativi potrebbe agevolare una formazione continua e una capacità di reinventarsi che le istituzioni dovrebbero essere in grado di appoggiare per uno sviluppo condiviso.
La trilogia di queste nuove tendenze si potrebbe riassumere con l’ affermazione di Stefano Micelli che spiega come “oggi le imprese più innovative si stiano muovendo verso un accrescimento dei contenuti culturali del prodotto, che diventa un pretesto per entrare in relazione con i consumatori e per raccontare una storia interessante”.
Direi che se questa è la strada c’è davvero molto lavoro da fare anche per noi markettari che dovremo accompagnare questo nuovo stadio di consapevolezza!

Ilaria Paparella

 
 
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Ilaria Paparella

 
 

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