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Design Thinking: un processo creativo ancora inesplorato.

Quando si pensa al marketing applicato alle imprese, generalmente si commette inconsapevolmente l’errore di pensare che questo strumento preveda semplicemente l’adozione di tecniche razionali, scientifiche e ben strutturate, studiate e analizzate solamente da una persona o da un dipartimento che possiede specifiche caratteristiche. 

Ma siamo davvero sicuri che sia così? In realtà, non sempre questo modello di pensiero è davvero quello che viene utilizzato all’interno delle organizzazioni. Vi starete chiedendo di che cosa sto parlando, immagino. Ve lo spiego subito: tutto questo, infatti, può essere riassunto in quello che chiamiamo design thinking.

Lo so, sembra un altro termine utilizzato per descrivere chissà quale filosofia o metodologia di pensiero, ma in realtà si tratta di un’espressione particolarmente interessante che le aziende (profit, no profit, pubbliche amministrazioni che siano) devono tenere a mente.

Il design thinking, infatti, consiste in un modello progettuale sviluppato all’Università di Stanford, che permette di risolvere questioni complesse impiegando una visione e una gestione creative. Ma non basta: questo metodo, infatti, permette alle organizzazioni di mobilitare tutte le risorse presenti all’interno dell’azienda, dando la possibilità a chiunque di contribuire alla risoluzione di un determinato problema, apportando questo o quell’aiuto. Insomma, al centro del design thinking altro non ci sono che la persona e la sua valigetta di competenze e capacità volte a sviluppare un pensiero che possa essere inteso sia dal punto di vista dell’ideatore che dal punto di vista del destinatario del messaggio.

Detto così sembrerebbe un concetto molto semplice da applicare e si ha quasi l’idea che basti sedersi tutti attorno a una tavola rotonda, condividendo idee e proposte per giungere in maniera quanto più efficace possibile una soluzione che possa davvero essere definita innovativa.

In realtà, non è proprio così: il design thinking, infatti, si sviluppa lungo importanti fasi che vanno appunto a delineare un approccio ben definito. In particolare, queste fasi possono essere inizialmente distinte in tre principali macro aree, vale a dire la comprensione, l’esplorazione e la concretizzazione. Cosa significa? Innanzitutto, naturalmente, è importante comprendere a fondo il problema che viene sottoposto all’attenzione dell’azienda, in modo da poterne cogliere tutte le sfaccettature ed essere pronti ad affrontare qualsiasi inconveniente. Secondariamente, è necessario esplorare a fondo la situazione, il contesto, tutti quegli elementi che potrebbero comportare delle difficoltà nella gestione della risoluzione del problema. Infine, quanto emerso durante le fasi precedenti, deve essere concretizzato e trasformato in una soluzione che sia davvero efficace, efficiente e utile alla causa.

Tuttavia, all’interno di queste tre macro fasi è possibile distinguere altri passaggi di fondamentale importanza, tutti funzionali alla risoluzione del problema in questione:

  • enfatizzare, vale a dire condurre delle ricerche per sviluppare una certa conoscenza circa gli utenti a cui ci si rivolge, cercando di comprendere cosa dicono, cosa fanno, cosa pensano e cosa provano.
  • definire, ovvero mettere insieme e analizzare tutte le ricerche che sono state condotte sui propri utenti, in modo da capire al meglio che tipo di problema (o problemi) esistano, quali possano essere le loro esigenze, i loro bisogni. Nel farlo è importante che l’azienda non consideri solamente le aree di intervento sicure, vale a dire quelle in cui effettivamente si possono andare a soddisfare dei bisogni, ma anche aree di intervento più innovative che, se gestite al meglio, potrebbero dare un valore aggiunto all’azienda stessa.
  • ideare, quindi avviare delle attività di brainstorming cercando di raccogliere tutte le idee che vengono in mente, da quelle meno fattibili a quelle più importanti. Mettendo per iscritto tutto ciò che emerge dall’analisi dei propri consumatori, si possono cogliere con più facilità degli spunti che poi possono essere utilizzati come driver per la risoluzione del problema.
  • prototipare, ovvero la fase di creazione di una soluzione concreta alle idee emerse in precedenza. In questo momento, tutte le persone coinvolte nel processo di design thinking sono chiamate a collaborare per comprendere la fattibilità o meno delle proprie idee e l’impatto che queste potrebbero avere se effettivamente venissero lanciate dall’azienda.
  • testare, vale a dire cercare di capire se la soluzione a cui si è arrivati possa davvero essere quella più adeguata. È bene porsi tutte le domande del caso, cercando di comprendere quali possono essere le lacune, le debolezze o i punti difficili delle proprie azioni, in modo da poter raddrizzare il tiro il più in fretta possibile.
  • implementare, una volta soddisfatti del proprio lavoro è ora di andare all’azione e concretizzare la propria idea, proponendola ai propri consumatori per cercare di risolvere al meglio le loro esigenze.

A parole può certamente sembrare un processo molto semplice, basato fondamentalmente sull’analisi del problema e sulla risoluzione dello stesso. In realtà, il design thinking è qualcosa di davvero importante e anche se si tratta di una metodologia ancora poco conosciuta, o perlomeno non ancora compresa del tutto, può essere sfruttato da diverse organizzazioni per risolvere problemi aziendali all’apparenza insormontabili.

Ma quali sono i vantaggi che possono derivare dal design thinking?.

  1. Innanzitutto, migliora la capacità di prendere decisioni: attingendo idee e contributi da diverse risorse presenti all’interno dell’azienda, e non solo quindi dal dipartimento marketing strategico, l’azienda ha la possibilità di diluire notevolmente i rischi e di avere apporti differenti da più personalità. Questo, quindi, favorisce la possibilità di analizzare i problemi in modo più creativo e innovativo, riuscendo a raggiungere risultati che probabilmente attraverso altri strumenti sarebbero stati più contenuti.
  2. Secondariamente, crea una cultura di innovazione e permette di ridurre i costi: i processi aziendali vengono notevolmente ottimizzati e diluiti, semplificando l’individuazione del problema e al concretizzazione di una soluzione che sia efficace ed efficiente allo stesso tempo. Tutte le parti coinvolte, inoltre, potranno trarne dei benefici e si sentiranno comunque parte integrante del processo organizzativo dell’azienda, cosa che potrebbe comunque migliorare il clima aziendale.
  3. In terzo luogo, conseguentemente a quanto detto, crea un ambiente positivo e produttivo: si attinge a più risorse, si ha a che fare con idee di svariato tipo, si prendono in considerazione le opinioni di tutti. In questo brainstorming generale, naturale conseguenza è l’empowerment di tutte le persone coinvolte, il favoreggiamento del team building e lo sviluppo di un sentimento di lealtà e appartenenza all’organizzazione per cui si collabora.

Naturalmente, il design thinking non può essere applicato a tutti i campi di interesse in modo indistinto, ma garantisce performance migliori soprattutto in casi specifici, che possono essere ricondotti alla definizione di una strategia aziendale a lungo termine, all’ideazione di nuovi prodotti o servizi da destinare ai propri consumatori o clienti, a progetti di organizzazione aziendale o di acquisizione o all’avvio di start up. Ciò non toglie che anche altre applicazioni possano essere fatte di questo metodo, con il solo interrogativo di una funzionalità corretta al 100%. Ciascuna realtà aziendale dovrà comunque valutare pro e contro dell’utilizzo di una metodologia come quella del design thinking, una terra forse ancora poco esplorata, ma che se gestita nella maniera più consona, può regalare all’azienda vantaggi competitivi degni di nota.

 
 
AUTORE

Anna Vialetto

Semplicemente Anna, dal 1993. Ho tanti sogni nel cassetto, tanti progetti per il futuro, tante cose che voglio provare. Scrivere è una passione, una maniera per mettere su carta tutto quello che a voce risulta difficile dire. Sogno un futuro nel mondo dell’automotive e, perché no, in Formula 1. Considerando ogni momento come un piccolo traguardo personale.
 
 

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