Il più noto caso di debranding è quello che riguarda Nike, che scelse di eliminare dal proprio marchio la parte letterale, sfruttando così l’incredibile impatto che lo swoosh ha nei confronti dei consumatori.
Quella del debranding sembra essere oggi la tendenza diffusa per molti grandi marchi, tra i quali Starbucks. Il marchio di coffee shop da un anno è costituito soltanto dal simbolo iconico.
La strategia che Starbucks ha intrapreso è quella di farsi percepire come il coffee shop di quartiere. Al fine di rendere più confidenziale il rapporto con il consumatore, dai bicchieri di caffè è scomparso il nome Starbucks. Viene invece chiesto al cliente qual’è il suo nome, così da poterlo usare per personalizzare il bicchiere che egli utilizzerà. L’ottica di rendere il rapporto con il cliente più personale e meno corporate, emerge anche dalla linea guida “We’re Sturbucks. Nice to meet you”, utilizzata per la pubblicità televisiva.
Per Starbucks, come per Nike, un grande problema è costituito dalla continua esposizione del marchio alla vista del cliente. Chiunque può vedere questi marchi di continuo e, perciò, l’eliminazione della parte letterale permette al brand di non perdere il suo appeal agli occhi dei clienti.
Un caso di natura diversa è quello che riguarda Tesco, che utilizza nomi differenti per le sue diverse linee di prodotti e che decide, di volta in volta e prodotto per prodotto, dopo specifiche ed accurate analisi dei trend e delle percezioni dei consumatori, se far comparire sul packaging delle varie linee il brand Tesco oppure presentarle come se fossero produzioni indipendenti.
Altre volte la decisione di utilizzare unicamente un nuovo brand per una nuova linea di prodotti serve a contrastare il rischio che il marchio si sdoppi, finendo per rappresentare prodotti e valori diversi oppure che uno stesso marchio finisca per rivolgersi a due diversi target con desideri e percezioni differenti. Tra gli esempi di un nuovo brand distinto da quello principale ci sono quello di Mercedes e Smart e quello di BMW e MINI ed è questa anche la strategia scelta da quei marchi che normalmente si rivolgono ad un target d’elite e che decidono di introdurre linee di produzione che hanno un diverso target un diverso prezzo o una diversa tipologia di punto vendita.
La crescente tendenza al debranding, alla manipolazione del marchio o alla sua sostituzione, non solo rappresenta l’evoluzione dei principi del branding, che affermano che un marchio, ben costruito e connesso ad un efficace strategia di marketing, deve essere riconoscibile anche nelle sue diverse varianti, ma rivela un cambiamento di prospettiva.
I brand che non sono ancora radicati nell’immaginario collettivo, possono decidere di intervenire sul marchio solo dopo che accurate e specifiche ricerche abbiano dimostrato quanto questo tipo di azione possa produrre positivi mutamenti per quanto riguarda la percezione del cliente. Il brand è garanzia di affidabilità. Per questo motivo le aziende procedono con estrema cautela: la tendenza al cambiamento, per quel che riguarda il marchio deve essere motivata e valutata, volta per volta con un’analisi accurata.
Il richiamo ad un utilizzo chiaro ed esplicito del marchio originale rappresenta una funzione di supporto che per molti brand è ancora troppo importante. Il debranding è quindi un’arma a doppio taglio, capace di stravolgere in positivo o in negativo la reputazione intorno al proprio business.