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Ammalati d’arte

Da un buon paio d’anni la bolla artistica continua a gonfiarsi senza sosta e secondo diverse stime il mercato artistico mondiale ha superato i 35 miliardi di euro annui, traguardo raggiunto polverizzando ogni record ( una famosa opera di Pollock è stata venduta per 140 milioni di dollari e una foto di Steichen per quasi tre milioni di dollari) e conseguendo profitti (le aste parigine hanno superato, per esempio, il miliardo di euro). Perché l’arte è diventato vanto di classe elevata per un numero sempre maggiore di persone pronte a girare il globo per conquistare l’opera dell’artisa più quotato (le nuove piazze sono Mosca, Dubai, Shanghai e Mumbai).
La bolla si sta ingrossando con una notevole confusione di attori in gioco: lo scorso anno ci sono stati artisti che hanno ricomprato da collezionisti, case d’aste che hanno acquistato gallerie e musei che hanno venduto come fossero stati supermercati.
Questo solo per dare l’idea del giro economico che l’arte è in grado di generare e così i musei si danno da fare con un proprio marketing ben studiato e sempre più differenziato a seconda della clientela che si vuole soddisfare: l’Hermitage per esempio costringe il visitatore ad una camminata per 31 Km così come il museo di Washinton, ma altri musei hanno assunto un posizionamento differente soddisfacendo una clientela che non ama trasparire o aprendo filiali più confortevoli. Così il celeberrimo Louvre, preoccupato della crescita dei visitatori, nel 2005 ha dato l’avvio al Louvre Lens ( uno spazio aperto di 5.000 mq che nel 2009 ospiterà 600 capolavori) e nell’ autunno dello scorso anno ha varato il piano triennale Louvre Atalanta per aumentare i suoi fondi. Ma il Louvre non soffrirà di solitudine, a questo tipo di imprese è infatti affiancato dal Guggenheim, che dopo Bilbao ha scelto gli Emirati Arabi oltre ai concept store a Las Vegas e all’Heremitage. Espansioni e cambiamenti che il più delle volte sono spinte da pure strategie aziendali, da necessità di sfruttamento di economie di scala e di dimensione, dai milioni di visitatori che necessitano di impianti di dimensioni industriali.
Ma sono sperimentate anche manovre di acquisizioni (Moma e PS1), fusioni (il Guggenheim di Berlino è nato da un intesa tra la banca tedesca e UBS ha acquistato un bel pezzo del Moma), siglano accordi di co-distribuzione e varano travelling pluriennali. Dietro ci stanno necessariamente budget da far girare la testa e manager con buste paga da sogno. Un esempio? Il direttore del Moma tra il 95 e il 2003 ha ricevuto tra i vari trustees integrazioni sino a 3.5 milioni di dollari l’anno. (Nella prossima vita vado a studiare storia dell’arte!!!)
Consoliamoci pensando che c’è una giustificazione forte: il Guggenheim di Bilbao nei primi tre anni di vita avrebbe fatto crescere il pil dell’area dello 1.47 % creando più di 3.000 posti di lavoro e incrementando del +54% i flussi turistici dai paesi Baschi (studio KPMG,1998).
Ancora una volta mi sento di affermare che il settore culturale e artistico sarebbe da prendere un po’ più in considerazione per le sue immense potenzialità. Gli esempi citati sono tutti stranieri, possibile che l’Italia con l’immenso patrimonio che si ritrova non possa fare altrettanto e meglio? O aspettiamo solo che si giochi in Italia la coppa del mondo di calcio?

Fonte: Ventiquattro

Immagine: wikipedia.org

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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