Tutti ci abbiamo fatto caso: il linguaggio che usiamo ogni giorno per comunicare cambia a un ritmo sempre più veloce. Questa continua evoluzione in realtà c’è sempre stata, inutile nascondere la testa sotto la sabbia: quello che oggi è diverso, rispetto al passato, è la velocità di questo cambiamento. Partendo da lontano, ad esempio, la diffusione nei salotti degli italiani della televisione, negli anni cinquanta, ha portato all’adozione della lingua italiana “standardizzata” e all’abbandono dei dialetti locali. Oppure qualche anno più tardi i limiti dei 160 caratteri degli SMS hanno fatto preoccupare sempre più i professori di lettere a suon di “tvb” e “xke”.
Tuttavia oggi il ritmo di queste evoluzioni è dettato in modo determinante dalla tecnologia, oltre che dai cambiamenti culturali. La diffusione prima di internet e poi degli smartphone ha portato alla nascita di community digitali che hanno iniziato a parlare, e, soprattutto, ad adattare la lingua ai contesti della comunicazione, non solo nella comunicazione orale ma anche in quella scritta. Ed è proprio qui che mi sembra doveroso far entrare in gioco le piattaforme social, le loro caratteristiche e le loro regole del gioco.
Inutile negarlo, uno dei cambiamenti più significativi sta avvenendo oggi su TikTok, cambiamento accelerato dalla crescita esponenziale di utenti da tutto il mondo nella piattaforma.
Di fatto nei social spesso viene favorito l’incontro con contenuti non in lingua italiana (generalmente in inglese) tra utenti che non parlano la stessa lingua, adottando gerghi ed espressioni tipici della piattaforma di comunicazione utilizzata. Molto spesso ad un primo approccio sembrano termini senza senso ma in realtà sono derivati dalle logiche di funzionamento delle piattaforme stesse.
Prendiamo un esempio concreto: nel 2021 un tiktoker che parlava dei suoi “pandemic hobbies” si è visto segnalare, per errore, il contenuto per via dell’utilizzo della parola “pandemic” che al tempo era un topic molto sensibile per le fake news. Così ha iniziato a usare la parola “panoramic” una parola dal suono molto simile alla parola incriminata, che aggirava il rischio di ban.
Da allora sono diventate sempre più numerose le parole che, per evitare di veder segnalati come inappropriati i propri contenuti, i TikToker hanno trovato come sostitute: “leg booty” per LGBTQ, “cornucopia” per omofobia, “seggs” per “sex”, e così via.
Algoritmo di moderazione, visibilità dei contenuti e rischio di ban hanno dato luce ad una nuova forma di linguaggio: l’algospeak.
L’algospeak aiuta i creator, non solo su TikTok, ad evitare che le regole automatiche di moderazione possano mal interpretare i contenuti e di conseguenza ridurne o eliminarne la visibilità. Questa evoluzione del linguaggio non solo avviene con parole dal suono simile, ma anche con il cambiamento delle lettere all’interno, introducendo di fatto un nuovo spelling.
Detto questo, diventa interessante più che mai capire come funziona l’algoritmo di moderazione di TikTok. Sono presenti due livelli di controllo attraverso una ricerca di contenuti con riferimenti violenti, di odio, sessualmente espliciti o di disinformazione. Oltre al controllo automatico i contenuti possono anche essere segnalati dagli utenti. Dopo la ricerca o la segnalazione, un contenuto trovato non idoneo può essere cancellato automaticamente o a seguito di una revisione umana.
In TikTok però non è presente una black list di parole proibite, tuttavia l’adozione dell’algospeak da parte dei creator diventa volontaria per evitare in modo sicuro i ban, anche alla luce degli investimenti in advertising che possono essere associati alla produzione dei contenuti. Questo diventa un tema centrale anche per le aziende, che possono vedere le proprie campagne di comunicazione bloccate da un algoritmo di moderazione, di fatto mettendo a rischio la buona riuscita di un lancio prodotto o una collaborazione con un creator di punta.
Possiamo quindi dire che l’algospeak sarà il nuovo modo di comunicare delle nuove generazioni?
La risposta è no: la nascita di questo nuovo linguaggio sembra essere fondata più su ragioni “tecniche” che di carattere culturale.
In più non dobbiamo dimenticare alcuni fattori:
- Nel momento in cui una nuova parola viene adottata anche dalle generazioni precedenti perde di interesse nell’utilizzo, così come succede nell’adozione delle piattaforme, vero caro Instagram?
- Le nuove generazioni possono contare sul il cosiddetto “code switching” ovvero la capacità di cambiare il registro lessicale in base alla situazione in cui si trovano, su Snapchat o in aula all’università.