Oggi mi trovo in aula a parlare di blogger. E mi chiedo se ha ancora senso farlo. Probabilmente la risposta è si. I blogger della prima ora, quelli che leggevano marketing routes, vivono oggi una situazione di imbarazzo, che si può esprimere con tre domande:
- Non commenta più nessuno, perché bloggo?
- I blog sono mercificati, cosa ci guadagnerò (continuando) a bloggare?
- Diciamo tutti le stesse cose, non stiamo infangando la rete?
Io credo sinceramente che non sia ancora stato inventato il sostituto del blog, Facebook fa il suo ma si vede ogni giorno che gli spazi aperti e distribuiti (penso con grande ammirazione al continuo lavoro di Fabio per la moderazione dei flame su Indigeni Digitali) hanno ancora dei punti di immaturità e soprattutto non permettono di dare struttura alla “pensata”, Twitter è fantastico ma sempre più figlio di momenti, eventi e reportage live di pezzi di vita vera. Mi piace pensare il blog come la casa di campagna del web marketer, un posto in cui rilassarsi a pensare, e scrivere con calma strutturando i pensieri.
Altra cosa è il blogger, figura mitica ma sempre più adamitica, nuda di fronte agli attacchi frontali delle pubbliche relazioni industrializzate in prodotti. Come diceva Chris Anderson in un libro meno famoso di “the long tail” ma altrettanto efficace, “gratis” è ancora una parola magica. E non vedo nulla di cosi spaventoso nella partecipazione ad un evento o nel test di un prodotto, ma soprattutto chi è senza peccato scagli la prima pietra. Al di la del klout e di chi ce l’ha più lungo è chiaro e palese che oggi i blogger vendono la propria influenza, perché chiamati in aula anche grazie all’hype che potranno generare con un tweet su quel corso o semplicemente invitati nell’ultimo hotel di tendenza per promuovere e sedimentare un’offerta. Si tratta di occasioni di racconto in cui un po’ come i siti “cedono un pezzo di pagerank”, i blogger cedono un po’ della propria notorietà e soprattutto credibilità in cambio di un viaggio a sharm o di una fotocamera da provare. Ripeto, non ci vedo nulla di preoccupante fino a che queste figure rappresentano degli storyteller che decidono di prestarsi a divenire essi stessi canale di comunicazione, ben consci del fatto che i “crediti idiosincratici” del proprio pubblico non sono infiniti (per capirci, dovrai scriverne di bei post naturali per “annullare” la tua marchetta).
Dove andremo? Questo è un tema vero e credo che l’immaturità di questa pratica (figlia del fatto che le PR on line sono diverse dalle PR off line ma i professionisti di questo secondo ambito non l’hanno mai capito o fingono di non farlo) evolverà lungo due direttrici. La prima è legata al coinvolgimento di figure influenti indipendentemente dal presidio di racconto che detengono (per capirci “tu hai 50k followers, vieni”), la seconda è invece l’unica speranza per questo vecchio pazzo mondo (citando i cantanti), e risiede nella capacità di chi blogga e di chi chiede ai blogger un supporto per qualsiasi attività di rendersi conto di lavorare con uno “storyteller esperto in un particolare ambito” cui si può chiedere di sviluppare un racconto, ma soprattutto si potrebbe chiedere di migliorare un prodotto, un servizio o un’esperienza.
La speranza per il blogging, il business blogging e le blog PR risiede a mio avviso nell’interpretazione di queste figure come early adopter e pretotipatori digitali, portandoli “a capo” di progetti speciali promossi da social enterprise più che di azioni chirurgiche e one shot di cui, sinceramente, ci siamo tutti un po’ stufati.