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Lo storytelling fra teoria e pratica: come farlo bene?

Il termine “Storytelling” è diventato una delle buzzword più utilizzate (e forse abusate) degli ultimi anni. Non è la prima volta che un vocabolo inglese diventa una specie di pass-par- tout nel linguaggio aziendale; tuttavia, in questo caso assistiamo a due particolari fenomeni: da un lato, sempre più professionisti si definiscono “Storyteller”, complice anche la mancanza di un percorso accademico formalizzato in grado di fare chiarezza o attribuire titoli; dall’altro, il termine “Storytelling” viene associato ad una grande varietà di approcci: si parla di Digital Storytelling, Visual Storytelling, Brand Storytelling, Enterprise Storytelling e molti altri.

Sono convinto che nell’ambito della consulenza e della pratica aziendale, una nuova parola abbia un ruolo soltanto se definisce un set innovativo di attività, competenze, approcci e schemi mentali; se non lo fa, può rischiare di aggiungere confusione a confusione.

Cosa significa “Storytelling”, quindi, e come funziona lo Storytelling?

Allo stato attuale, credo si possano distinguere:

  • Una serie di pratiche e strumenti, che si traducono poi in attività aziendali, comunicative, organizzative
  • Un approccio teorico, che si traduce in una visione strategica

Gli strumenti e le pratiche si rifanno spesso al mondo digital, con la sua fame costante di contenuti; tutti abbiamo letto almeno una volta articoli di blog con titoli come “ 7 Storytelling tools per i marketers”, o “10 applicazioni per lo Storytelling Digitale”, o “8 regole per lo Storytelling Aziendale”. Si tratta di contenuti in alcuni casi veramente ben fatti, che parlano per lo più di applicazioni in grado di semplificare la gestione della grafica, della fotografia, della produzione di testi, o anche di rendere più agevole l’organizzazione di queste attività in contesti collaborativi. Tra i tools citati più spesso in questi articoli troviamo Canva, Wirewax, Storify, Steller: piattaforme e strumenti senza dubbio potenti; tuttavia se dicessimo che che possono mutare radicalmente il rapporto tra un’azienda ed il suo pubblico, forse staremmo commettendo una leggerezza.

Un contenuto strategico per il termine Storytelling: la prospettiva delle Scienze della Narrazione

Se si parla invece dell’approccio teorico, il discorso si fa più articolato e complesso; come funziona lo Storytelling in questo contesto? Cosa significa Storytelling qui?

Per cercare di dare una prima definizione (che sarò felice di approfondire in qualche post successivo) ricorro all’Osservatorio Italiano di Storytelling: L’Osservatorio, oltre a riunire alcuni dei più importanti studiosi italiani sulla materia, sarà il primo ente promotore di un percorso universitario sullo Storytelling e le Scienze della Narrazione (in collaborazione con l’Università di Pavia). Potete dare un occhio al loro sito qui, ma parafrasando la loro definizione, direi che lo Storytelling è una disciplina che si rifà alle Scienze della Narrazione, con riferimenti alla Psicologia ed alla Sociologia, e con applicazioni, tra l’altro, nel Marketing e nella Politica.

Cosa sono le “Scienze della Narrazione”? Si tratta di una serie di discipline, tra cui la Psicologia Culturale e la Psicologia Analitica, la Semiotica, la Narratologia ed altre, che trovano una radice comune nel concetto di “Pensiero Narrativo”; quest’ultima idea, proposta anche da correnti della Psicologia e dalle Neuroscienze, ipotizza che gli esseri umani possano “pensare per storie”: in altre parole, noi tutti interpretiamo i fatti che ci accadono o ai quali assistiamo, creando storie basate sull’intenzionalità degli attori e sul contesto generale. Un celebre e curioso esperimento, che risale agli anni 40, ne dà una una delle prime dimostrazioni: lo trovate qui, e se vi va possiamo anche fare un gioco: guardate il video, e scrivete nei commenti cosa avete visto: torneremo a parlarne nei prossimi post…

Quello che ci interessa notare in questa sede, è che le Scienze della Narrazione si chiedono, tra l’altro:

  • se ci siano “storie” ricorrenti nelle nostre culture e nelle nostre tradizioni
  • se ci siano “storie” che ci definiscono nella nostra identità e nelle nostre azioni
  • se ci sia un modo per comprendere quali “storie” siano più diffuse in un determinato pubblico, o a quali “storie” un pubblico sia più reattivo.

Ma allora come funziona lo Storytelling, inteso come approccio strategico?

In questa accezione potremmo dire che lo Storytelling funzioni cercando innanzitutto di comprendere le cosiddette “storie di vita” del pubblico: il modo in cui ognuno rappresenta la propria vita sul piano narrativo, le storie che costruisce per dare significato alla propria esistenza; in seguito, l’approccio Storytelling prevede che si passi a cercare di costruire delle “storie d’azienda” o “storie di marca”, in grado di interagire con le storie di vita del pubblico. Per usare termini di casa nel Marketing potremmo definirla una specie di “segmentazione narrativa”: non più un generico “raccontare storie”, ma una ricerca che ci dica con precisione quali storie raccontare e come costruirle.

A chi pratica Marketing, tutto questo dovrebbe interessare molto: è sufficiente pensare a quanti contenuti, e quante “storie”, sia necessario produrre oggi nella comunicazione aziendale; se però non bastasse, aggiungo di mio tre osservazioni, che sono riferite soprattutto al Marketing Digitale:

  1. tutto il giorno, sui social network, noi consumatori raccontiamo noi stessi; cerchiamo di costruire una “storia” della nostra vita dispersa su piattaforme multiple, più o meno reale, ma sempre coerente con la visione che abbiamo della nostra identità. Le nostre storie sono lì, ne lasciamo traccia, insieme a chiare indicazioni di cosa sia in grado di toccarci, commuoverci, stimolarci. E gli algoritmi possono vederle.
  2. i brand si raccontano da sempre; lo fanno su più piani e su differenti punti di contatto, cercando di mantenere una coerenza di valori e di azioni per risultare concreti. I Brands hanno un’identità fatta di storie.
  3. le aziende, attraverso web e social analytics assistiti da una buona dose di occhio umano, possono conoscere gli interessi, le passioni, le “storie di vita” del proprio pubblico; e dato che sono le aziende a costruire la narrazione dei Brands, hanno tutto l’interesse a comprendere quali “storie” siano più efficaci, e ad avere strumenti concettuali che le aiutino a costruirle.

In definitiva, in questa versione, lo Storytelling funziona non solo come un insieme di tecniche per comunicare; lo Storytelling è anche e soprattutto un modo di pensare al proprio pubblico come “portatore di storie”.

Spesso, nel Marketing, ci si accorge di quanto, prima di agire, sia necessario analizzare. Se trasportassimo questo approccio all’abilità di costruire storie per comunicare, forse potremmo azzardare che per essere dei buoni “Storytellers”, sia importante diventare prima dei buoni “Story-listener”.

 
 
 
 

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