Leggo incuriosito l’articolo “How Sephora “sucks” all my money through great UX and psychology“, segnalato dall’amico Riccardo Mares, che comincia subito con una bomba da 3 degna del più ispirato Steph Curry:
The Sephora app is a perfect example of how great UX and psychology can bring a large amount of profits to its company.
Non c’è convegno in cui User Experience (più spesso usato nel web marketing) e Customer Experience (termine da convegni di business e BI) non siano innalzati ad ambasciatori del futuro della relazione. Spesso però si esce da queste convention antidiluviane con una domanda in testa: ok, ma cosa devo comprare? Un prodotto? Un corso di formazione? Una piattaforma?
L’articolo sopra-citato spiega come il noto brand Sephora più che sul design dell’interfaccia si sia concentrato sul design dell’esperienza. Non è tanto l’ultimo miglio del sito di Balenciaga (non sei un UX vero se non hai almeno una slide su quello), quanto piuttosto il fatto di aggiornare cross piattafoma (ma davvero, fino al punto vendita) la wish list, inseguendo l’utente con più delicatezza rispetto a una campagna di remarketing, ma soprattuto con piena coscienza delle necessità dello stesso. Seth Godin parlava di permission marketing, Hubspot di delight, da qualche parte dobbiamo tirarla fuori questa “epifania”. E di epifania si tratta quando provi il “visual artist“, cioè il make up direttamente in-app:
Niente male! L’autrice parla di “burden”, cioè del fardello del fare shopping, che Sephora annulla con la possibilità di prototipare il proprio look.
The zero cost “prototype” dramatically decreases the psychology burden on the shopper’s shoulder, and makes her feel that shopping can be casual and fun.
Ricordate Alessandra Farabegoli? “Il miglior modo di aumentare la rilevanza è diminuire l’irrilevanza”. Nel libro Hooked, Nir Eyal parla di:
- reward of the tribe
- reward of the hunt
- reward of the self
La community attorno a questo prodotto funziona. I beauty blogger tengono party esclusivi per gli utenti più attivi, le persone amano queste esperienza di condivisione e sembrano non averne mai abbastanza. Nell’articolo viene poi citato un punto estremamente interessante: spesso citiamo casi di marketing in cui la risposta alla ricerca “motorizzazioni nuovo t-roc” non viene soddisfatta dal sito del dealer, ma da un blog di settore. E ci chiediamo come collegare la parte informativa della ricerca a quella legata alla transazione (da chiudere sul sito del dealer). Sephora ha risolto tutto, ha portato questa parte informativa tipicamente risolta con impressioni P2P dentro i propri “owned media” rendendo meno necessaria per l’utente una ricerca “outside the brand properties”.
Non è abbastanza? Sephora si spinge oltre, con gamification e rewarding:
Sephora breaks customers into 3 different groups (insider, VIB, and Rouge). It uses the next tier’s benefits such as three-day fast shipping and exclusive products, to challenge shoppers to reach that next milestone by shopping more products.
Il beauty insider program è pura manna per il loyalty manager.
Il passaggio seguente è a mio parere, in conclusione, fondante:
Sephora’s whole digital design makes me think about what a UX designer should do to create successful products. As a UX designer, we spend large amounts of time on various research methods to understand users’ needs, motivations, and behaviors. However, we also need to see the bigger picture of general patterns that are characteristic of all human beings. By understanding the user’s entire journey and how our designs are perceived, we can create effective digital products to simultaneously achieve both the user’s and company’s goals.
C’è una forte differenza tra bisogni e journey. I bisogni non sono significati, i significati sono molto più simili a momenti di pura epifania e amore, o anche semplicemente alla minimizzazione di momenti frustranti. Già questo lavoro sarebbe fantastico. Le soluzioni sono più vicine a problemi da risolvere, che qualcuno porta a casa più agilmente di altri. Il ruolo del nuovo UX e CX manager è legato alla vera massimizzazione dell’esperienza utente, un processo in cui i tool contano per il 20%. Ma diciamoci la verità: quale agenzia passa l’80% del tempo a studiare e il 20% del tempo a realizzare un sito web? Questa paretianità è rovesciata, e non è un bene per nessuno. La sensazione è che la gara per l’eccellenza sia appena cominciata, e che sia una maratona. Ma i primi 3 (Netflix? Uber? Sephora?) stanno scappando. un vecchio video diceva “The ROI of social media is your business will still exist in 5 years”, forse “The ROI of UX is your business will still exist in 5 years”, teniamone conto.