Guardandoci attorno leggiamo spesso di Facebook che si è trasformato oramai, per la disperazione di tutti, in un paid media.
I recenti (e meno recenti) mutamenti del social per antonomasia (soprattuto a livello di algoritmo e dunque di reach dei post) sembrano confermare questa tesi: oramai si calcola che meno del 5% dei fan sia raggiunto dalla comunicazione tramite questo strumento, facendo diventare necessario l’investimento in FB ads per riuscire a giustificare l’impiego di questo media come strumento di marketing e comunicazione.
Anche le recenti novità introdotte dal social di Zuckerberg sembrano confermare questa tesi. Un esempio? La maggior profilazione introdotta nell’analisi dei fan, non soltanto in riferimento a Page Insights: Facebook ha reso disponibile anche in Italia Audience Insights, un nuovo strumento gratuito utile a pianificare attività di marketing, in particolare advertising, verso specifiche tipologie di iscritti, offrendo informazioni sul pubblico potenzialmente interessato ai contenuti di una certa azienda.
Un altro esempio è la possibilità di fare shopping online direttamente dalla piattaforma: recentemente sta sperimentando il tasto ‘buy’ a corredo delle inserzioni delle aziende. In pratica gli spazi pubblicitari acquistati su Fb diventeranno un canale diretto di vendita. Cliccando il tasto ‘compra’, da computer o smartphone, l’utente potrà comprare dall’inserzionista senza lasciare il social network.
Questi e molti altri fattori ci fanno pensare a una cosa soltanto: Facebook vuole monetizzare. Non a caso i dati trimestrali sul social non lasciano spazio ad interpretazioni: ben 2,5 miliardi di dollari di ricavi, per un utile netto di 642 milioni di dollari, triplicato rispetto al primo trimestre, trainato dai guadagni che arrivano dalla pubblicità su mobile, che hanno rappresentato il 59% delle entrate pubblicitarie nel primo trimestre, in ampia crescita rispetto al 30% di un anno fa (qui i dati completi).
Facebook è un paid media, fine della storia?
Non proprio.
Ogni volta che mi autoconvinco della validità di questa teoria mi balza in mente la favoletta della volpe e dell’uva troppo alta che veniva considerata acerba.
Sì, perchè mi pare proprio che siamo ancora lontani dallo sfruttare le possibilità che offrono i social media. Skande, ha scritto un recente post intitolandolo “Il marketing dei contenuti non può essere casuale”; sul social media explorer ho letto da poco un post intitotlato, italianizzato, “non c’è ragione per metter like a una pagina facebook” (solo per citare due, tra le centinaia, degli ultimi articoli letti sul tema.
Hanno ragione: troppo spesso seguendo alcuni brand, sembra che considerino i follower dei celebrolesi. Sembra che i brand si mettano letteralmente su un piedistallo e infiocchettino contenuti scialbi, stupidi, banali, vomitandoli ai follower che non so per quale ragione dovrebbero digerirseli.
La verità non è propriamente che FB sta diventando un paid media. O almeno, non solo.
La verità è che fino ad adesso resta un media categorizzabile come un “giocattolo”.
Adesso sta diventando una cosa seria, un canale di comunicazione che per fruttare deve finalmente esser gestito da professionisti del settore: facebook sta trovando la propria dignità di strumento di comunicazione e marketing. E la cosa, sinceramente, non mi dispiace affatto.
Ecco che strategia e tattica diventano necessariamente centrali anche nell’uso del social. I 3 i punti di riferimento da considerare per costruire un piano editoriale efficace ritorano il Brand (valori, plus, prodotto, obiettivi, coerenza di comunicazione…), il target (gusti, reazioni, analisi dei bisogni, percezione del brand…) e il contesto (avvenimenti, situazioni, cosa accade nella realtà…) ed è sulla base di questo “triangolo del successo” che devono essere moderati investimenti, linee editoriali, piani strategici e azioni tattiche. Ma non basta: accade sempre più frequentemente che si debba leggere il quotidiano e riorientare la comunicazione. Questo dovrebbe esser fatto per ogni canale del communication mix, ma a maggior ragione per i social, mezzo bidirezionale per eccellenza. Ecco che il real time marketing diventa ciò che fa la differenza. Kitkat in occasione del blackout di facebook, Oreo durante il Super Bowl, Audi alle olimpiadi (e molti altri insegnano).
Certo, tanta fatica, tanto sforzo, molto investimento di menti brillanti e di tempo. Insomma, ripeto, una cosa seria, una cosa vera, una cosa reale. Ma non nel senso di “regia”, “nobile”, uno strumento da guidare dall’alto in basso. No, reale nel senso di vicina alla realtà, alla gente, al quotidiano intelligente, dinamico, maturo.
Realtà e non favola.
Sennò crederete anche alla volpe e all’uva.