Capita a tutti di trovare nella propria home di Facebook notizie di dubbia origine condivise dagli amici.
Nonostante lo scetticismo, leggendo il titolo cresce la curiosità, ma cosa troviamo quando l’articolo ha conquistato il nostro click?
Dipende dalle intenzioni dell’autore: le bufale che circolano sul web possono essere create per errore oppure in maniera consapevole da chi vuole scherzare o trarre vantaggio dalle visualizzazioni.
I social hanno messo il turbo a questo fenomeno, con la nostra emotività e la voglia di scoprire verità nascoste, unite a pigrizia e disinformazione, siamo in grado di rendere virale qualsiasi fatto, anche il più falso e pericoloso.
Quando ci sono in ballo alcuni argomenti caldi è anche la nostra mente ad influenzarci: la psicologia ci insegna che tendiamo a dare più ascolto alle notizie che confermano le nostre idee su un determinato tema, a causa del bias abbassiamo la guardia e diventiamo più propensi a condividerle con la nostra rete.
Paradossalmente in molti casi si tratta di notizie scientifiche: un ambito in cui non contano le opinioni ma solo ciò che può essere dimostrato attraverso prove concrete.
Puntualmente capita di leggere articoli su imminenti catastrofi planetarie, spaziali, le classiche smentite sul riscaldamento globale, fino a temi che possono avere conseguenze notevoli per la salute come i vaccini. Può succedere che i dati ufficiali vengano male interpretati a causa della loro complessità, altre volte è l’autore a giocare sull’ambiguità delle dichiarazioni degli scienziati ribaltandone il significato.
Molti divulgatori cercano di fare chiarezza ma, soprattutto nelle pagine popolari, vengono bombardati da critiche e accusati di essere “schiavi del sistema”.
Come difendersi dalle bufale?
- Prima di tutto è importante verificare la fonte: fidarsi della notizia o dell’esperienza “del cugino di” è sempre sbagliato, con una rapida ricerca su Google si possono controllare i dati e l’autorevolezza di chi si spaccia per esperto.
- Prestare attenzione allo stile di scrittura: se il contenuto è diverso dal titolo, se i toni sono eccessivamente allarmistici ed è richiesta la condivisione facciamo scattare il campanello d’allarme, a volte i segnali possono essere sottili ma attraverso un continuo confronto si diventa sempre più allenati. Occhio anche ai nomi che sfruttano le somiglianze, come “Il Giomale” o “Il Matto Quotidiano”.
- Controllare i siti di debunking: molti giornalisti e appassionati si impegnano quotidianamente nella caccia alle bufale. Eccone alcuni esempi: Bufale, Il Disinformatico, Snopes, Bufale un tanto al chilo.
Strumenti a disposizione per gli investigatori più esperti:
- Per scoprire se un’immagine è attuale o riciclata: Google Immagini o TinEye, per i video YouTube DataViewer;
- Per scovare un’eventuale ritocco con Photoshop: FotoForensics;
- Per controllare i metadati di foto, audio e video provenienti da smartphone: Jeffrey’s Exif Viewer;
- Per sapere il tempo di un determinato giorno e luogo: WolframAlpha;
- Per capire dove è stata scattata una foto: Google Street View, Google Earth.
Al di là delle accortezze tecniche, c’è una semplice regola generale da applicare sempre: il buon senso.
Il fenomeno è diventato oggetto di studio anche da parte di illustri pensatori, ricorderete la famosa frase di Umberto Eco “I social hanno dato la parola a legioni di imbecilli”. Lo scrittore pur sottolineando la fondamentale importanza di internet come risorsa, intendeva accusare gli utenti che diventano vittime di bufale e ne contribuiscono al successo tramite la condivisione.
Quale possibile soluzione? Un piano di educazione all’utilizzo del web nelle scuole, per formare futuri cittadini consapevoli e attenti.
Oggi tutti possono fare informazione e questo è un bene innegabile, questa libertà ci investe però di responsabilità e ci vuole meno passivi di un tempo.
Navighiamo su internet con uno “sguardo scientifico”, con apertura mentale e senza mai dare nulla per scontato, ma soprattutto premiamo il pulsante condividi solo quando siamo consapevoli del nostro potere.