Quante volte abbiamo sentito la famosa citazione di Jeff Bezos:
“Your brand is what people say about you when you aren’t in the room”?
Che Bezos stia simpatico o no, dobbiamo ammettere che con questa frase ha proprio centrato il punto! In queste poche parole è infatti racchiusa l’essenza di ciò che nel linguaggio del marketing è chiamato Brand Identity.
La Brand Identity può essere definita come il senso che il brand vuole dare a sé stesso. E per fare ciò i valori, il posizionamento e i principi del brand devono essere coerenti in ogni comunicazione e azione messa in atto!
Negli ultimi anni le aziende hanno finalmente capito che comunicare non vuol dire soltanto emettere dei messaggi, ma vuol dire emettere messaggi efficaci che arrivino al destinatario con pienezza di significato, coerenti rispetto al mondo possibile proposto e in linea con le aspettative del target di riferimento.
Solo così potremo “prevedere” ciò che la gente dice del nostro brand quando non ci siamo!
Oggi, dove tutto è digital, la Brand Identity si è evoluta nell’insieme di significati e significanti che il content creator attribuisce alla marca attraverso la comunicazione su canali social, al fine di renderla desiderabile, unica e per distinguerla dai competitor. Ma senza un’identità chiara e solida ogni atto comunicativo risulterebbe inutile.
Per questo l’azienda deve avere una precisa visione di come collocarsi nella mente del consumatore. Stabilire a priori il contenuto dell’identità di marca è fondamentale per trasmettere coerenza e sostanza al proprio pubblico, in questo molti brand seguono il modello del Brand Identity Prism del sociologo Jean Noel Kapferer.
Attraverso il suo modello, Kapferer ritiene che l’identità di un marchio possa essere equiparata all’identità di una persona. Ecco perché vale la pena approcciare i brand come se fossero persone.
Le sei facce del prisma secondo Kapferer rappresentano i sei aspetti fondamentali dell’identità di un brand:
Il primo aspetto sono le caratteristiche fisiche: l’insieme di tutte quelle caratteristiche oggettive associabili al brand.
Può essere il prodotto capostipite, un simbolo grafico, un personaggio di marca, o più in generale, una caratteristica che viene subito alla mente o resta latente.
-il cioccolato per Ferrero;
-la sicurezza per Volvo;
-il blu per Barilla;
-l’omino coi baffi per Bialetti;
-l’aerobica per Reebok;
-l’atletica per Adidas.
Il fisico corrisponde in buona sostanza al posizionamento classico, basato su attributi e valori di prodotto. È una condizione necessaria per costruire la marca, ma tuttavia non sufficiente!
Il secondo aspetto è la personalità: il carattere del brand e il modo in cui si pone al pubblico.
La marca acquisisce un carattere dal momento in cui inizia a comunicare. I suoi discorsi, la sua produzione di senso, le sue parole, la rendono simile ad una persona, con uno spessore psicologico:
–Barilla è affettiva;
–Telecom simpatica;
–Apple amichevole e brillante;
Il terzo è l’universo culturale: l’insieme di valori su cui si fonda l’azienda e il sistema di credenze in cui vuole far riconoscere il proprio pubblico.
È l’incarnazione di una storia imprenditoriale e di un “senso” delle cose, di una sensibilità condivisa e di ispirazione sociale. Il volto culturale della marca è quello dei suoi principi fondamentali, delle sue origini, delle sue espressioni, delle sue manifestazioni.
–Benetton ad esempio, è portatrice di una cultura multietnica che si dichiara priva di pregiudizi;
–Mercedes ingloba i valori della Germania: ordine, precisione, rigore;
–Esselunga sta diventando sempre più espressione di una cultura della sensibilità sociale, rispetto per l’ecosistema, dei paesi del terzo mondo, del consumatore.
–Coca-Cola è la cultura americana della libertà, della grandezza e della spettacolarità.
Il quarto è il tipo di rapporto che il brand intende instaurare con i propri clienti.
Spesso è racchiuso nel payoff, come l’invito di Nike al “Just do it!”, che propone una relazione liberatoria e provocatoria. L’Oréal, “perché voi valete”, suggerisce invece una prossimità fatta di grande rispetto e grande considerazione per gli individui, sempre più “attori sociali” e sempre meno clienti.
Uno degli ultimi aspetti del prisma è l’immagine riflessa: quanto il pubblico ideale rispecchia il brand stesso.
La marca è l’incarnazione del consumatore-tipo e produce quasi di rimbalzo un’immagine del tipo persona che lo sceglierà. In qualche modo, indirettamente, per sedimentazione della comunicazione, per effetto della pubblicità, attraverso prodotti più rappresentativi, la marca costruisce la raffigurazione del destinatario idealtipico, dell’individuo al quale vuole indirizzarsi.
Grazie a una comunicazione efficace, la marca Nike Air Jordan è riuscita a costruire un riflesso, a mettere in scena l’immagine dell’utilizzatore ideale: un atleta. Il riflesso non è il target reale, non tutti coloro che acquistano le Air Jordan sono atleti, ma la comunicazione di Nike è che puoi sentire di esserlo indossando queste scarpe: è aspirazionale.
Infine, la mentalizzazione: come il brand fa sentire chi acquista i suoi prodotti, è la relazione che il consumatore intrattiene con sé stesso attraverso il consumo della marca.
Alcune marche costituiscono dei potenti simboli di status che gli individui acquistano per provare (a sé stessi e agli altri) di aver raggiunto certi traguardi sociali, economici e professionali. Basti pensare al consumatore Lacoste, l’acquirente effettivo che si considera come un membro di un club sportivo e chic e tuttavia aperto, senza distinzioni di razza, di sesso e d’età.
Il prisma di Kapferer mette in luce come un brand sia paragonabile ad un essere vivente, che si nutre di comunicazione.