In uno scenario sempre più competitivo e veloce il voler prendere scorciatoie, tagliare gli angoli per anticipare mercato e concorrenti è una ghiottissima occasione, per qualsiasi azienda.
In più, molto spesso il solo prodotto non basta per conquistare quote di mercato, anzi passa in secondo piano se il volano di tutta la crescita è lasciato quasi esclusivamente al brand.
Potremmo riempire pagine e pagine di libri con esempi di brand nati e morti in pochi anni, i quali hanno aggredito il mercato, preso quello che potevano prendere, per poi sparire subito dopo.
Potremmo anche scrivere pagine e pagine sul perché questo accade ma quello che vorrei approfondire in queso articolo è cercare di capire come un brand possa crescere, ma non a ogni costo: è facile andare fuori strada e una volta smarrita la via non è così scontato tornare indietro. Soprattuto se i valori e le esperienze che i consumatori associano al brand cambiano perché il brand stesso è insoddisfatto dei clienti che ha e ne vuole, a ogni costo, in quantità sempre maggiore. Ma questo costo può essere molto alto, a volte altissimo.
Facciamo un esempio, ormai tra i classici della letteratura di marketing contemporanea: il caso California Bakery.
Se all’inizio degli anni 2000 ti trovavi a Milano, da California Bakery avresti trovato un’offerta che aveva ancora il sapore autentico di quando nel 1995 il suo fondatore Marco D’Arrigo comprò il primo negozio da una signora americana. Il negozio aveva tenuto l’impostazione di cura dei dettagli e qualità assoluta delle materie prime, innovando per i tempi quella che era la comunicazione digitale ma restando aderente a ciò che il brand California Bakery voleva raccontare e che faceva andare bene ai Milanesi uno scontrino in genere più alto rispetto altri caffè e panetterie.
Fin qui una bellissima storia di successo, ma poi arriva la voglia di tagliare l’angolo per crescere più in fretta: il nuovo management di stampo GDO non è contento di avere attratto e fidelizzato solamente una nicchia appassionata di dolci americani e brunch. È insoddisfatta. Vuole accumulare di più, abbassa la qualità dei prodotti per portare più clienti possibile in negozio. Anche la comunicazione è cambiata e, ad esempio, il blog di ricette che appassionava i cheesecaker (se si può dire) ha smesso di essere aggiornato dal 2016. Questo non ha fatto altro che creare una distonia tra quello che il brand raccontava come “made with love” e un prodotto dove non c’era più così tanto “love” al suo interno. Il risultato? A fine dicembre 2019 hanno portato i libri in tribunale e la chiusura di tutti i punti vendita. L’impatto positivo che aveva avuto il brand California Bakery nella proposta di valore è subito crollato quando questa proposta è cambiata.
La lezione che impariamo è questa: se per accumulare sempre più clienti, fatturato, margine andiamo a tradire la promessa che il brand ha fatto al mercato non succedono cose buone.
Questo accade per tutti i livelli di comunicazione, oltre che di marketing anche nella comunicazione finanziaria.
Spesso nell’immaginario comune la comunicazione finanziaria e più in generale il mondo della finanza è in qualche modo legato alla voglia di espandere il proprio patrimonio il più in fretta possibile, dove broker urlanti comprano e vendono azioni cercando di assestare il colpo perfetto. Ogni Vigilia di Natale su Italia Uno vediamo come in una Wall Street affollata e chiassosa di inizio anni ‘80, il prezzo del succo di arancia mette sul lastrico i fratelli Duke in “Una poltrona per due”. E sappiamo tutti quanto fossero avari i fratelli Duke. Ma oggi, e forse anche ieri, la comunicazione finanziaria non è solo il raccontare in un comunicato stampa quanti utili distribuiremo agli azionisti quando staccheremo le cedole a maggio, anzi ha un impatto rilevante ed è strettamente legata alla comunicazione di marketing.
Un caso studio è senza dubbio quello di Tesla, dove l’impatto di una comunicazione al di fuori dei canoni “classici” del buon Elon Musk, che definiva troppo alto il prezzo delle azioni della propria azienda, ha impattato in modo sensibile sul valore delle stesse. Con un solo tweet sui social network l’impatto di quei pochi caratteri è costato miliardi di capitalizzazione di borsa in pochissime ore.
Il legame, tra marketing e finanza aziendale è stato approfondito da uno studio pubblicato su Science Direct, dove il paper di Lukáš Falát e Martin Holubčík ha cercato di dimostrare l’influenza della comunicazione di marketing sulla situazione finanziaria di un’azienda, ovvero l’impatto che ha quello che comunica un brand su tutti i livelli di comunicazione e modalità sugli indicatori di misurazione economici e finanziari di un’azienda.
Partendo dal presupposto che l’obiettivo principale della comunicazione di marketing è il trasferimento del messaggio tra il mittente e il destinatario (Vodak et al., 2016), il contributo di un messaggio trasferito con successo può essere dimostrato dal numero di reali i clienti che sono disposti a pagare per il valore fornito. Un altro aspetto da tenere in considerazione è che il marketing fa parte di un più ampio processo di gestione e management dell’azienda, il cui risultato è la conoscenza, l’anticipazione e l’influenza sui clienti in modo tale da garantire un efficiente raggiungimento degli obiettivi economici. Soprattutto per quanto riguarda l’ultima delle parole chiave, l’influenza sui clienti, è qui che il band ha il suo impatto maggiore. Influenza, definita dalla Treccani come “credito, ascendente, capacità di imporre il proprio volere con la persuasione, il prestigio personale, l’autorità” può essere veicolata in modo efficace dall’azienda al consumatore solo attraverso il brand e i valori, comportamenti e stili di vita a cui viene associato
Questo crea un legame a doppio filo tra la comunicazione con l’ultima riga del bilancio, dove la prima deve trasformare il valore che il brand ha per i consumatori in valore economico perché la seconda non sia in perdita.
Non dobbiamo scordare che perché abbiano impatto tutti gli asset che compongono il brand devono essere costruiti nel tempo in modo consistente per avere credibilità e quindi rilevanza e influenza per il consumatore. Facendosi prendere dall’idea di ottenere di più di quello che già si ha il rischio è quello di uscire dai binari della coerenza creando un cortocircuito valoriale che rompe il legame di fiducia costruito con i clienti e a cascata si abbatte su tutta l’organizzazione avendo impatti di natura economico/finanziaria, come accaduto per California Bakery.
In conclusione, l’impatto di un brand abbraccia tutti gli aspetti della gestione aziendale e questo impatto è amplificato dagli strumenti digitali, che hanno abilitato modalità di comunicazione prima impensabili, legando in modo sempre più stretto tutti i livelli di comunicazione, economica e finanziaria. Questo boost non deve però far uscire il brand dai propri binari, l’esecuzione della strategia deve essere applicata in modo consistente.
Abbiamo affrontato questi temi anche nella seconda edizione di Krang, il nostro magazine. Scaricalo al link.