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Il marchio paga?

prendo spunto da un post recente pubblicato su blogimprenditori (progetto che seguo), la cosa è interessante perchè scritta da un imprenditore, che scrive:

In Italia si parla tanto di supporto all’imprenditoria giovanile, di sviluppo d’impresa basato su idee innovative, sul design, ecc. e magari avere meno attenzione solo sull’investimento “manufatto” che – è noto – può essere facilmente clonato dai famigerati cinesi, ecc. ecc. . Bene. Come sappiamo però, l’attività che genera e fa conoscere al mercato la nuova idea, comporta anche investimenti in danaro sonante.

Lo sviluppo e diffusione di un marchio commerciale in Italia e all’estero costa danari. Depliant, cataloghi, fiere di settore, meeting all’estero, promozione in generale possono raggiungere investimenti simili a quelli della costruzione di un immobile o di una bella e maestosa pressa. Però! Già…però…quando l’imprenditore si appresta a fare – e fa, realizza, commissiona (e paga) tali strumenti di mktg, tali investimenti a mio parere non gli vengono riconosciuti.

E questo soprattutto dai finanziatori (banche in primis) ai quali si rivolge per forza di cose, soprattutto in fase di start-up. Ci si sente spesso rispondere “ si, bello, innovativo, presentato bene, bravi, ma…il fatturato? c’è un qualche immobile a garanzia? sa com’è…”

In breve, ritengo che il meccanismo sia sempre quello tradizionale: se l’azienda ha costruito il classico “capannone” – che poi magari rimane vuoto e chiuso (perché sono esaurite ulteriori energie economiche da investire sulla comunicazione) l’istituto erogatore finanzierà abbastanza agevolmente la richiesta di danaro. Se il numero di dipendenti è elevato, il mondo politico e sindacale farà ogni sforzo per evitare la crisi.

Se, diversamente, l’imprenditore ha investito tutte le sue risorse sull’attività di comunicazione, naturalmente con l’intento di ricevere i sospirati ordini, tale sforzo – ritenuto a mio parere erroneamente aleatorio, non visibile, o meglio, non tangibile – non sarà preso in considerazione.

Fondamentalmente il marchio non paga. Se è così, non sentite anche voi odore di economia che si potrebbe definire “preistorica”? Dobbiamo seguitare a costruire capannoni ed inserire nuovi e costosi macchinari a scapito degli investimenti “intangibili” per poter accedere al sistema del credito? E se questa è la conclusione, non è la strada che ci porta in direzione contraria a quella auspicata per far fronte alle economie emergenti?

Ed ecco il mio commento

Credo che il problema della comunicazione sia ben affrontato se valutato in ottica creditizia, la campagna di comunicazione in sé non viene considerata, soprattutto in fase di start up, ho però due appunti:

– nel tempo la costruzione della brand equity porta di certo dei risultati, per intenderci se domattina Giovanni Rana si reca in banca a chiedere credito di sicuro sarà considerato nella valutazione anche il brand Giovanni Rana, costruito nel tempo.

– Il problema creditizio è ben presente tra le agenzie di comunicazione che infatti proposero qualche anno fa anche strumenti flessibili come il leasing pubblicitario per facilitare l’investimento delle imprese in comunicazione, è tristemente noto il grande errore di molte imprese che di fronte ad una crisi tagliano le spese pubblicitarie non facendo altro che innescare un meccanismo vizioso di decrescita

Se il valore finanziario della marca è dibattutto di certo il marchio paga altrove, riuscire a costruire una solida immagine porta infatti indubbi vantaggi, il problema è dato però dai costi crescenti che questo comporta.

Voi che ne dite?

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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