Il cliente oggi è un soggetto che sente sempre più il bisogno di interagire con il brand, esigendo che questo si ponga ad un livello pari, che accetti e desideri lo scambio di opinioni. È questa la convinzione universalmente accettata tra gli addetti ai lavori e che spesso viene data per scontata. Forse troppo. Sono significativi in questo senso i dati, riportati da Socialbakers.com, in un post che approfondisce quanto, effettivamente, la customer care online dei brand sia attenta alle esigenze degli utenti.
Sarebbe ovvio aspettarsi che quando una marca decide di tessere le proprie relazioni con i clienti, questa sia propensa a dialogare con la propria audience, rispondendo alle loro domande (o quantomeno ad una netta maggioranza) e facendolo nel minor tempo possibile, in modo che l’interazione possa essere fluida.
Quello che concretamente avviene è spesso molto diverso. I dati riportati da Socialbakers parlano chiaro: il 70% delle domande su Facebook vengono ignorate. Addirittura, il 25% dei brand decide di “chiudere” la propria bacheca, evitando le domande degli utenti e rinunciando in modo totale al dialogo. Sembra che, ad un cliente ormai divenuto consapevole di quelle che sono le dinamiche di mercato e capace di scelte sempre più personali e autonome, non corrisponda da parte dei brand una adeguata consapevolezza delle nuove dinamiche comunicative.
Distinguerei, semplificando, tre categorie principali della comunicazione web, che derivano da differenti approcci comunicativi: il web come vetrina, lo scambio tronco e la comunicazione social-izzante.
Il primo, ormai riduttivo, approccio alla comunicazione web con il cliente, consiste nell’utilizzare lo spazio web come una vetrina, tramite la quale mettersi in mostra. Era questo l’approccio dei primi siti internet all’epoca della loro prima diffusione in massa. A guardare bene però, la logica comunicativa di quel 25% dei brand che decidono di chiudere le proprie bacheche ed evitare il dialogo, è la stessa di quell’internet fatto di modem 56k e Napster. L’errore che spinge ad un tale riduttivo approccio è quello di sopravvalutare la propria intrinseca forza persuasiva. Questa divinizzazione del proprio brand è oramai inattuale e risponde a criteri di comunicazione unidirezionale che hanno oggi una efficacia assolutamente limitata e circoscritta.
La seconda categoria si riferisce all’approccio di quei brand che provano a coinvolgere l’utente, non solo riportando le notizie e proponendo iniziative ma rendendo l’utente partecipe di quello che è il proprio universo di valori. Tuttavia questo atteggiamento propositivo, teso ad accompagnare gli entusiasmi dei clienti, si trasforma troppo spesso in un atteggiamento di chiusura quando ad essere espressi sono le critiche, il malcontento, le domande scomode. Una scelta di questo tipo deriva dal timore di proteste o attacchi al brand. Il rapporto con i fan è vivo solo quando il feedback è positivo, ma il brand evita il dialogo costruttivo sui temi più controversi.
Un social media manager capace dovrebbe invece non solo accettare le critiche, ma trovare in esse, più ancora che nelle manifestazioni di entusiasmo, l’occasione per mostrarsi attento ed interessato ai bisogni e agli umori del cliente. Non rispondere ad una questione sollevata da un utente non equivale soltanto ad assumere una posizione neutra ma indispettisce il proprio target rischiando di renderlo diffidente o addirittura ostile. D’altro canto una partecipazione interessata e coinvolta da parte della marca alle problematiche o alle preoccupazioni dei fan, rafforza il vincolo di fiducia ed è qui che il brand si mostra come persona e ponendosi allo stesso livello del singolo cliente, costruisce la relazione.
La caratteristica intrinseca di un social media consiste nel suo essere uno spazio destinato allo scambio comunicativo. Tale scambio dovrebbe essere il più possibile spontaneo e libero da vincoli. È indubbio che la capacità di convergere l’attenzione del pubblico, rende il social media un mezzo perfetto tramite cui i brand possono stabilire relazioni. Purchè questo avvenga però, è necessario che il brand accetti e condivida le regole del contesto in cui ha scelto di muoversi. In fondo la grande potenzialità di un social network è proprio quella di connettere due entità e farle “diventare amiche”. Il brand, in questo, non è un’eccezione.
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