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Brand reputation: e se andassimo oltre l’ascolto?

Qualche giorno fa ho raccontato il Social Media Marketing ad un nutrito gruppo di professionisti, tra questi anche alcuni responsabili di pubbliche relazioni e uffici stampa. Il pranzo ci ha portato a discutere serenamente sugli assenti, sugli esperti di comunicazione che si “aggrappano” all’off line e in piena modalità “non vedo, non sento, non parlo” cercano di difendere le sempre più labili rendite di posizione sui clienti storici senza comprendere il cambiamento in atto.

Il libro “Open leadership” di Charlene Li porta esempi interessanti del nuovo modo di vivere le imprese e i rapporto tra queste e le persone, anche dipendenti: dal sito Glassdoor.com dove i dipendenti, in forma anonima, danno i voti alle aziende per cui lavorano, all’utilizzo da parte di Yum! Brands (per capirci Pizza Hut, Taco Bell etc..) di Jive come piattaforma collaborativa di dialogo tra i dipendenti con risultati sorprendenti. Cosa sta cambiando?

Se ci permettiamo di giudicare la situazione interna delle aziende non possiamo fare a meno di guardare anche in casa nostra, lato strategie di promozione da agenzia. Concentrandoci in particolare su due trend che oggi molti stanno scoprendo ma che agli occhi degli studiosi delle avanguardie già scricchiolano, in particolare:

  • le attività di ingaggio sugli influenzatori
  • l’ascolto della rete

Questi due servizi tipici delle new agency sono troppo “sottili” per divenire uno standard (come ad esempio la gestione dei Social Network o lo sviluppo dei siti web, attività comunque di medio termine ma sul cui domani non vi è certezza) senza subire cambiamenti, cambiamenti che potrebbero andare in tre direzioni convergenti

  • Diventeremo tutti più influenzatori: l’ennesima polemica (vecchia come il mondo) su Chiara Ferragni richiama all’ordine la linea sottile tra relazione, mercificazione, ingaggio e branding. Credo che non esista una soluzione al problema, forse l’unico vero problema è che i blogger nascono come “indipendenti di qualità”, o almeno vengono percepiti come tali, e nel momento in cui il loro blog li precede in attività a scopo di lucro scoppia il finimondo. Questo trend non durerà per molto, quando altre saranno le metriche e l’influenza non sarà legata solo ad una piattaforma di blogging avremo risolto questo finto problema. La mia opinione su chiara Ferragni: ha un bellissimo sito, e fa benissimo personal branding.
  • Dall’ascolto al contatto: le aziende vere, quelle brave, stanno considerando l’ascolto come un’attività necessaria ma non sufficiente. Siamo “fuori tempo massimo” nell’ascoltare per poi scaricare a terra a 6 mesi lievi e banali modifiche alle policy aziendali al servizio dell’utente. Quello che serve sono attività vere, un esempio? Trovare utenti insoddisfatti sul web e sorprenderli con un’azione proattiva e dirompente, come mandare un prodotto sostitutivo a casa, o un bigliettino di scuse.
  • Dallo zuccherino al servizio: abbiamo visto che gli spazi di contatto tra influencers e aziende sono sempre più labili, ma questa attività è sempre più richiesta, come uscirne? La frontiera sta a mio avviso nel servizio. Il flusso non è “l’azienda comunica, il blogger ascolta e twitta” ma “l’azienda prepara una nuova strategia di comunicazione, con il blogger come figura esperta che grazie al contatto vivo con la rete orienta le decisioni

Siamo probabilmente di fronte a un passaggio concettuale importante, quello dall’ascolto alla reazione. Molti sono ancora molto indietro ma le aziende devono comprendere che non solo non sono più proprietarie del proprio brand, ma da qualche tempo non sono nemmeno più artefici della propria strategia di marketing e comunicazione. Ed il bello è che dovrebbero anche essere entusiaste della cosa. Come si dice si no quieres espinas no aceptes rosas.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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