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Brand extension o multimarca?

La marca è diventata nel corso degli anni un elemento sempre più importante, passando da una semplice etichetta per differenziarsi dalla concorrenza ad una risorsa che contiene al suo interno una serie di valori, simboli e credenze.
Tuttavia, per raggiungere questo risultato, è necessario un forte investimento da parte dell’impresa e questo spesso spinge le aziende ad utilizzare la stessa marca per prodotti anche merceologicamente diversi.
Se da un lato però la brand extension consente di ridurre gli investimenti , dall’altro può rappresentare un forte rischio , la strategia può portare infatti ad una sovraestensione del marchio che si traduce in una perdita d’identità dello stesso.

I case history offerti dalla realtà sono molti.
Da una lato troviamo società come la Virgin che ha attuato un vero e proprio stretching della marca, dalla sua nascita sul mercato discografico, il marchio è stato poi utilizzato nelle palestre, nelle bevande e nel settore aereo dove l’azienda ha diversificato la sua produzione.
Nella stessa direzione si sta muovendo McDonald’s che ha deciso di estendere il suo marchio in nuovi settori nei quali la società ha deciso di entrare (vestiti, giocattoli, dvd e libri per bambini).
Tali imprese hanno deciso di sfruttare l’identità e i valori della marca già esistente per estenderla in nuovi settori in cui le rispettive società sono entrate.
Dal lato opposto si collocano invece imprese che sono presenti nei più svariati settori merceologici con un portafoglio di marche differenziato.
La Unilever, colosso multinazionale inglese, nasce dalla fusione di due imprese, l’inglese Lever Brothers e l’olandese Margarin Unie.
Nel corso del tempo la società inizia a diversificare la sua produzione entrando in mercati completamente nuovi, da prodotti per la pulizia della casa e della persona a generi alimentari.
Fanno parte dell’impresa marchi come Calvé, Cif, Dove, Findus, Knorr, Lipton, Mentadent, Svelto.
Sulla stessa scia si colloca Procter & Gamble, azienda americana nata nel settore della produzione di candele e sapone, che successivamente ha esteso la sua presenza in diversi settori merceologici con marchi quali ACE, Infasil, Pringles, Swiffer, AZ, Pantene, Maxfactor, Pampers, Gilette.

A questo punto viene allora da chiedersi quale sia la strategia migliore da attuare.
Secondo il mio personale punto di vista non esiste una risposta adeguata a tale domanda; la soluzione va trovata di volta in volta in base all’identità della marca e dall’impresa con cui si ha a che fare. Se consideriamo ad esempio un’impresa come Barilla, il suo marchio ha assunto un valore che ruota tutto attorno al core business dell’impresa stessa; estenderlo ad altri settori completamente diversi, rappresenterebbe a mio avviso un fallimento.
In altri casi invece, l’identità della marca può presentare degli elementi di dinamicità ed elasticità che ben si adattano ad un’estensione della stessa in nuovi mercati.

Thomas Longo per Marketingarena

 
 
 
 

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