Quando si va agli eventi si sa, si corre sempre il rischio di incontrare persone con cui fare quattro chiacchiere di valore e impattanti. Al Philip Kotler Marketing Forum abbiamo incontrato Ivan Mazzoleni– Business Digital Transformation & Digital Advisory Team Leader di Microsoft.
Ecco l’intervista
Lavorando nel marketing digitale sappiamo che una delle premesse fatta dal marketing alla tecnologia era quella di riuscire a personalizzare scalando. La domanda quindi sorge spontanea: ci stiamo riuscendo? E a che punto siamo, eventualmente, con questo processo?
Qui abbiamo subito toccato uno dei temi centrali.
A livello tecnologico, oggi abbiamo tutto quello che ci serve per scalare. Più si automatizza, più si “standardizza”, più si riduce valore e non si personalizza. Io posso arrivare a costruire un messaggio personale per te, però se è un “per te” che è uguale a quello “per me”, allora non è più “per te”.
La globalizzazione ha creato valore sulla standardizzazione (basti pensare al mass market di McDonald’s e Coca Cola). É un trend incontrovertibile.
Più la tecnologia ci consente di automatizzare, quindi di replicare, più aumenterà il valore esattamente opposto. Tanto è vero che oggi le persone cercano l’agriturismo “bio” o ad esempio, cercano di vivere un’esperienza di turismo diversa da tutti gli altri. Faccio questo esempio: stanno nascendo delle start up nell’est asiatico (in particolar modo in Cina), dove si ha la possibilità di mangiare peruviano a casa di un peruviano vero. Una sorta di “Airbnb del food” che fa vivere un’esperienza vera.
Quindi alla fine per me la challenge del marketing non è tanto usare dei dati per automatizzare e lavorare su una personalizzazione, passami il termine “fake”, ma è quella di usare questa massa di dati in maniera intelligente e scalabile, ma mantenendo l’autenticità, uno dei valori più importanti nel presente e per il prossimo futuro.
I brand dovranno portarsi nel proprio dna una purpose. Un altro elemento che diventerà un vero e proprio attrattore gravitazionale per i clienti è la “purpose” del brand (la “reason why” di cui parlava Simon Sinek), in cui essi devono riconoscersi. E insieme ai clienti, in essa devono riconoscersi anche i dipendenti, i millenials, che non vogliono lavorare solo per il “salary”. Quest’ultimo, è sicuramente una componente importantissima, ma un millenial vuole lavorare per qualcosa affine ai suoi valori e per il quale si sentono di creare un impatto.
Quindi possiamo parlare di una sorta di match culturale tra io-persona, che non voglio avere un lavoro solo per riuscire a pagare le bollette, e io-cultura, cioè ci tengo a lavorare per un’azienda che so che fa qualcosa in linea con la mia cultura. Che è poi anche il motivo per cui i brand tipo Patagonia stanno avendo il successo…
Assolutamente. Ti faccio un esempio italiano di una persona che ho incontrato recentemente.
“Save the Duck”. Non me ne voglia ma è più bello di altri in termini design? E’ più funzionale? E’ migliore in termini di prodotto? E’ più economico? No, non ha nulla di tutto questo. Le persone lo comprano perché è “Save the Duck”, perché ha una mission da perseguire e riesce a spuntare un premium price, dei tassi e dei ritmi di crescita che sono impressionanti quindi si stanno creando nel mondo una serie di niche (nicchie, come per Netlix) che però non sono più nicchie perché a livello globale sono mercati veri e significativi, e vogliono una reason why (una ragione, un motivo per desiderarli) e un’authenticity, un motivo per desiderarli e per dare in scambio dei soldi. Quindi il tuo esempio di Patagonia era perfetto.
Comunque, come Patagonia ce ne sono tantissimi, c’era anche Toms Shoe lui è riuscito a far vestire le sue scarpe, che erano disegnate tutt’altro secondo logiche di stile e appealing, ai più importanti personaggi di Hollywood grazie alla sua purpose.
Un altro esempio potrebbe essere il marchio di Worby Parker, che fa occhiali, e che per ogni occhiale che acquistato ne regala uno ai bambini in Africa per combattere la cecità, l’ostacolo primario per l’istruzione. E Microsoft in questi momenti come si posiziona?
Microsoft, in questo momento sta giocandosi una partita importante. É lì con Apple, Amazon e Google, per essere la prima azienda per capitalizzazione al mondo. Questa, dal mio punto di vista non e’ certamente la priorita’, ma lo uso solo come indicatore, altrimenti sembra che io parli solo di filosofia. Quello che pero’ a me interessa veramente e’ il fatto che il turn around gigantesco introdotto da Satya Nadella sia esattamente concentrato sul concetto di purpose.
La prima cosa che ha fatto Nadella quando si è insediato come amministratore delegato di Microsoft è stata quella di chiederci: “Se domani non esistesse più Microsoft, il mondo direbbe che…?”
Da questa domanda è andato a ricercare l’essenza, la “reason why” di Microsoft e a riguardare la mission di Gates che era “Democratizzare l’information technology, tradotta nel piu’ semplice: un pc su ogni scrivania e in ogni casa”. Ha realizzato che questa mission era ormai raggiunta, “accomplished”, e quando una purpose e una mission vengono raggiunte, in un’azienda l’energia si sgonfia, si perde la focalizzazione e il desiderio di continuo miglioramento. Satya ha quindi rifocalizzato Microsoft, stabilendo una nuova sfida, ovvero, la “Democratizzazione dell’Artificial Intelligence: ogni essere umano e ogni organizzazione deve poter sfruttare l’intelligenza artificiale e il potere dei dati per “achieving more”, migliorarsi continuamente e raggiungere nuovi obiettivi.”
Ha addirittura ri-frasato l’acronimo AI che in Microsoft non sta per Artificial (che ritornando al tema autenticità suona fake, qualcosa di non autentico) ma per “Augmenting Ingenuity” ossia aumentare l’ingegno umano, le caratteristiche dell’essere umano di immaginare e creare. Quando io mi sveglio la mattina con questo ideale, allora la mia vita lavorativa ha un significato. E quando vedi che tutto questo ha un riscontro reale, che lavoriamo e investiamo nel utilizzo delle AI nel supporto dei non vedenti (reingegnerizziamo tutto il software per essere utilizzato vocalmente), o più in generale che usiamo l’artificial intelligence per risolvere problemi reali. Inoltre Satya Nadella è particolarmente sensibile alle disabilità perché ha un figlio disabile e questo apre un’opportunità di business incredibile perché più di un miliardo di persone hanno una qualche forma di disabilità. Ed essere parte di un’azienda che mette davvero le persone al centro del proprio operato e che le aiuta a migliorare concretamente la loro vita quotidiana, produce indubbiamente una grandissima motivazione.
Da markettaro, il rischio è quello che magari queste cose passino come degli spot se non sono calate e concretizzate nel modo giusto, no?
Grazie della domanda perché questo punto è fondamentale. Fino ad oggi la “corporate responsibility” è stata approcciata come leva di comunicazione e l’andare incontro alle disabilità è stato interpretato come un “facciamo del bene a qualcuno che è considerato in realtà un po’ più sfortunato ed è visto come una minoranza.”
Satya Nadella ha ridisegnato il processo di reingegnerizzazione Microsoft e ha introdotto il concetto di “Inclusive Design”. Un marketer deve disegnare per le periferie e per gli estremi.
Un esempio per rendere tutto più chiaro: gli Stati Uniti, nella Seconda Guerra Mondiale, pur avendo un’aviazione tecnologicamente superiore a quella tedesca hanno perso negli scontri aerei. Perché? Perché l’aeronautica americana era disegnata per un pilota di media statura, peccato che nessuno dei piloti corrispondesse al pilota medio. Cosa facevano invece i tedeschi? Avevano il seggiolino regolabile avanti/indietro e alto/basso. Questo dettaglio ha fatto la differenza.
Nadella allora ha detto “Lavoriamo per quelle che sono le periferie, se noi risolviamo i problemi delle periferie e rendiamo il software utilizzabile per un non vedente/udente possiamo stare certi sarà più facile anche per l’utente medio.” Quindi ecco che diventa un’opportunità di business, non una questione di fare solo del bene, una tantum. E riprendo il concetto e la forza della purpose, lavorare per un’azienda che ha come purpose “aiutare le persone ad esprimere il loro potenziale” e’ estremamente motivante ed energizzante.
In un flash, tre parole chiave per il futuro, da qui ai prossimi cinque anni?
Esplorazione, intesa come ricercare cose nuove e fuori dagli schemi abbandonando la propria comfort zone. Apprendimento, inteso come osare, sbagliare perché l’errore in realtà è un preziosissimo alleato, è una ricchezza. Non è fallimento se io apprendo. Tutte le start-up, infatti, lavorano in sperimentazione, facendo tesoro degli errori. Come terzo, direi il concetto di apertura, inclusione e cooperazione.