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Tutti i pericoli delle metriche della vanità

vanity metrics

Da anni chi si occupa di web e marketing porta come motivo differenziante rispetto ad altri mondi la misurabilità della rete. Tutto è misurabile, quindi ogni euro investito in rete è un euro ben speso, perché sai dove va, e sai se il suo impiego ha generato 1,10 euro, 1000 euro o se invece hai perso tutto (lascio come bonus track fuori tema questa bellissima adv del maggiolone che affronta il tema “un euro risparmiato è un euro guadagnato”). Solo che non va proprio così, cantava un Max Pezzali d’annata, e lo spiega Jo Johannson in un bel post su The Next Web: pagine viste, numero di utenti registrati, dati di download di un’applicazione, sono metriche di crescita, traction etc.. che spesso decidono il rinnovo di un contratto per un’agenzia o il finanziamento di una startup, insomma numeri che portano o non portano soldi. La cultura del dato è un punto di partenza, ma non basta più: è come dire che per giocare in serie A o B bisogna saper controllare il pallone col destro e col sinistro, ok, lo sappiamo. Ma per giocare i mondiali non basta.

Un buon analista, ma anche un buon manager e un buon imprenditore valutano il presente e disegnano il futuro sulla base di intuizioni e numeri, se i numeri sono solo uno specchio in cui riflettere una bellezza finta, eccoci di fronte alle metriche della vanità: pettinarsi vantando migliaia di facebook like o retweet non vi farà accedere al ristretto club dei generatori di ROI, veri e propri eldorado per le aziende, di qualsiasi tipo o estrazione.

Cos’è una metrica della vanità

Una vanity metric è un numero facilmente manipolabile non direttamente correlato agli obiettivi di business. Si tratta di numeri che potranno farvi sentire bene, indorare la pillola delle presentazioni più spinte, ma non porteranno business. La verità è che le domande da farsi sono chiare e riconducono al “quanto ho speso per ottenere cosa” e “come ho investito i miei soldi”, ed esistono indicatori “seri” che possono aiutarci a fare delle scelte. Ad esempio CPA, costo per acquisizione di un utente o il CPS, costo per una vendita di prodotto, sono numeri che non mentono. Ovviamente al netto di quelle che l’economia chiama esternalità (è vero che con una diminuzione di prezzo del 90% genero un numero di vendite settimanali eccellente quindi avrò un ROI sulla settimana precedente di lusso, ma avrò una marginalità probabilmente negativa e avrò “distrutto” il mio brand agli occhi del consumatore che ieri ha pagato 100 e oggi si vede in vetrina lo stesso prodotto a 100).

Il concetto di RDF

Nel 1981 alla Apple Computer parlava di Reality Distorsion Fiedl o RDF. Si tratta di un concetto usato per descrivere il mix di carisma e fascino che Steve Jobs utilizzava per convincere i suoi dipendenti a fare ciò che egli voleva. Il paragone che l’autrice porta tra l’abilità quasi manipolatoria comune a molti grandi leader e le vanity metrics è intrigante: si crea un campo di percezione della realtà (quindi del business) distorto che porta a compiere azioni diverse da quelle che un’osservazione fredda e sensata consiglierebbe. È pur vero che è in quel carisma del leader (claim che ricorda una vecchia videocassetta sull’attaccante Gianluca Vialli, giusto per fare amarcord) risiede spesso la genialità che permette di intuire il futuro e cambiarne le sorti. Annusate le vanity metrics, ma non ingoiate il boccone con avidità senza averne sezionato il contenuto.

Che fare? Il bel post originale vuole semplicemente mettere in guardia da conclusioni affrettate basate su metriche “finte” che troppo spesso vengono portate all’attenzione del decisore. Non è difficile cadere in tentazione, ma non è nemmeno difficile starne lontani. Tanto più le metriche sono semplici e web based quanto più elevato è il rischio di essere di fronte a metriche della vanità: visite, like, tempo di permanenza sul sito. Quanto più le metriche sono business oriented, economiche e adattabili anche al mondo off line, più sarete vicini alla solidità che cercate, a numeri che possono guidare le decisioni e il cambiamento: vendite, costo per acquisizione di un utente, tasso di riacquisto, valore medio di un carrello, numero di conversioni a utente premium di utenti base, numero di carrelli chiusi a seguito di download di app-commerce, numero di utenti attivi dopo 6 mesi.. è a questi concetti che bisogna guardare.

I numeri non mentono, sono le persone che portano i numeri sbagliati a mentire.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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