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Il purpose design ha bisogno di KPI

Questa mattina uno dei più importanti esponenti della comunicazione italiana, Paolo Iabichino, ha riportato una notizia di Brand News secondo cui “Unilever sarebbe troppo concentrata sul purpose di uno dei propri prodotti e noi sui fondamentali del business”. A muovere l’accusa è un azionista, Terry Smith. 

Il purpose sta diventando uno dei temi più caldi della comunicazione, anche digitale, ed è forse giusto prendere posizione. Se l’Evening Standard lo fa in maniera dura tirando in ballo anche il Papa e la Cancel Culture da parte nostra vogliamo parlare di architettura del purpose design, perché è questo che ci lascia perplessi. 

Ricordate la scala dei bisogni di Maslow? Autostima e Autorealizzazione stanno in cima, ed è forse qui che la maggior parte dei progetti di purpose sta andando ad agire.

Azioni “rumorose” ma non concrete, o concrete da parte di chi però ha scheletri nell’armadio grossi come una casa.

Pensiamo ci sia un modo veramente figo di fare le cose (ammiriamo ad esempio le B-Corp, i progetti come Onde Alte e il fair index di Data Appeal) ma crediamo che ogni persona implicata in progetti di purpose design debba avere l’energia di parlare di purpose di prodotto e non solo di comunicazione. Paolo Iabichino lo fa, ed è da qui che dobbiamo ripartire. 

Non sappiamo se come dice l’Evening Standard “una maionese è solo una maionese” (torna a mente la grande cantonata presa dal CEO di FedEx che pensava che Amazon non sarebbe mai stato un competitor), quello che sappiamo però è che affrontare il purpose solo dalla parte della comunicazione è un grosso errore. Nessuno chiede alle multinazionali di smettere di produrre in Cina (o forse si?). Ma è giusto chiedere di mappare il proprio impatto ESG (environmental, social, governance) a 360° e non solo cavalcando le mode del momento siano esse diversity, inclusion o sostenibilità.

Il purpose design fatto bene ha bisogno di KPI, tanti investimenti e soprattutto di togliersi qualsiasi velleità cosmetica perché non è da qui che dobbiamo partire.

Il rischio di “mettere la cravatta al maiale” è dietro l’angolo. Questo tema è talmente importante, che merita l’intero abito da sera.

 
 
AUTORE

Giorgio Soffiato

Markettaro per passione, dal 1983. Mente creativa e progettuale dell'azienda, fa chilometri e supera ostacoli in nome della rivoluzione arancione chiamata Marketing Arena. Cavallo Pazzo.
 
 

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