largo ai giovani, spazio ai saggi
Di cosa può parlare chi si occupa di performance nel 2022, se non di cookiegeddon?
Perché io, tralasciando per un momento l’aspetto tecnico della faccenda, di cui ha già parlato Jessica qui , mi chiedo da un po’:
Sarò costretta a cambiare lavoro?
Che evoluzioni possiamo aspettarci, in un mondo digitale fortemente influenzato (o sarebbe meglio dire penalizzato?) dagli aggiornamenti in tema di privacy introdotti da iOS 14.5, dalle nuove linee guida sulla gestione dei cookie , da tracciamenti sempre più frammentari e da dati di terze parti sempre più limitati?
Insomma: dove andrà a finire l’advertising?
Dovremo disimparare tutto quello che abbiamo messo in pratica in anni di media buying fatto di targeting relativamente semplici e remarketing selvaggi?
Io credo che la risposta sia NO, e che dovremo farci guidare da una sola parola chiave: semplificazione. O less is more, per dirla con le note parole di van der Rohe.
Fa ti, fa ben
(cit. Alessandro Facco )
Nell’era dell’advertising self-service, che vanta una costellazione di piattaforme con delivery multicanale che nemmeno il più bravo media planner sa nominare a memoria, anche la gestione degli account e delle campagne sembra diventare sempre più automatizzata e semplice.
Intelligenza artificiale, algoritmi, smart bidding, ottimizzazione automatica del targeting, campagne Advantage+ sono solo alcuni esempi che ogni advertiser ha davanti agli occhi tutti i giorni.
È così che noi performance specialist ci siamo adattati a nuovi setup sempre più puliti, abbiamo sposato il metodo Hagakure e il broad targeting, abbiamo lasciato sempre più campo libero all’intelligenza delle piattaforme scegliendo di far correre campagne in “Massimizza conversioni”, con audience più ampie possibili così che Google e Meta potessero raccogliere più dati e ottimizzare prima budget e performance.
Mentre tutti i colossi dell’advertising ambiscono a diventare sempre più facili da usare agli occhi del cliente finale, che infatti viene spesso contattato direttamente da Google o Meta per impostare le proprie campagne bypassando le agenzie che lo seguono, sembra quindi che le barriere in entrata si abbassino – in termini di complessità, non di budget. Meno opzioni, meno impostazioni, meno settaggi da conoscere a memoria, et voilà, in un attimo la campagna è pronta per raccogliere conversioni, lead e vendite.
Ma quindi, diventeremo superflui? O saremo costretti a rivoluzionare il modo in cui lavoriamo?
La tendenza alla semplificazione potrebbe farci pensare che stiamo diventando inutili; o perlomeno, che essere iper-specializzati non sarà più un valore aggiunto. Perché sembra che il cliente potrà gestirsi le campagne da solo, che qualunque smanettone, magari più giovane e nativo digitale di noi (di me sicuramente, visto che sono nata quando Internet in Italia non esisteva) saprà usare le piattaforme con la grinta dei 20 anni, mentre noi perderemo terreno per non riuscire a stare al passo con le nuove opzioni, i nuovi social network, i nuovi trend digitali.
Niente di più falso, e vero al contempo. Se è vero infatti che l’operatività può diventare più semplice per chi vuole entrare e scalare in questo mondo, è anche vero però che il punto cardinale di qualsiasi attività di marketing è la strategia.
Che non è fatta di ottimizzazioni di ultimo miglio, ma di una strada arzigogolata composta da comprensione del mondo, delle persone, del processo di acquisto, da sociologia e psicologia, da analisi e riflessione, e poi ancora analisi.
E per questo non bastano un MacBook, un account Gmail e un tutorial su YouTube, ma servono studio, sensibilità ed esperienza.
D’altronde, non è che con 2 anni di pandemia e un barattolo di lievito madre siamo diventati tutti pizzaioli, o no?