Non so se questa tesi che sosterrò a breve sarà condivisa o meno. Né, tantopiù, riesco a capire se il mio è solo il frutto di una deformazione professionale o, semplicemente, di una deformazione personale (grave). Però dico quello che penso (e forse penso anche quello che dico): mi piace la pubblicità.
Adoro vedere i post sponsorizzati su Instagram, Facebook e Twitter, mi piace leggere e cliccare sui risultati in SERP sponsorizzati con AdWords, leggo compiaciuto i cartelloni e le affissioni in strada, apro le newsletter dei brand, leggo e clicco i banner, guardo le uscite su stampa locale e nazionale. E così via.
Da un lato credo sia semplice curiosità, visto che questo mestiere lo faccio anche io, in qualche modo. Dall’altro, forse, è perché non ho perso (ancora) la fiducia in uno strumento prodigioso: l’advertising. Una parola e un mondo tanto bistrattato e odiato, a ragione, che però così non dovrebbe risultare. Lo abbiamo spremuto, svilito, maltrattato. Io, nonostante tutto, a mia mamma glielo dico che faccio il pubblicitario, altro che pianisti nei bordelli.
Perché credo che debba essere una cosa utile, la pubblicità
Mi spiego meglio: l’era della frequenza e dei bombardamenti è finita, anche per i grandi Brand. Anche l’era della rilevanza, se vogliamo. Siamo nell’era della contingenza, del contesto. Tante Aziende lo hanno capito, tante (molte, troppe, quasi tutte) ancora no.
- Da un lato sappiamo bene che non esiste il target segmentabile a cui destinare ADV. Esistono le persone: tutte diverse, tutte speciali, tutte con percorsi di vita, interessi, hobbies non conformabili e assimilabili ad un segmento di target.
- Dall’altro siamo nell’epoca della misurabilità totale, dei big data, del remarketing, del proximity marketing, del local marketing, del real time marketing, del “se voglio conosco tutto oppure ho la possibilità di pagare per sapere”.
- Infine, c’è la questione tanto celebrata ma poco compresa degli user generated content. Tutti scriviamo, tutti fotografiamo, tutti postiamo, tutti filmiamo, tutti parliamo. E non lo facciamo ai familiari, ma rivolti al mondo. Mettiamo in rete la nostra vita. E badate bene, se non lo avevate capito fino all’arrivo degli hashtag. Loro lo hanno solo ribadito: facciamo questo per esser visti. Dagli amici, da chi non ci conosce, dai brand, dai cinesi. Sì, dai cinesi. Vogliamo arrivare anche a loro. A tutti.
Una pubblicità solo per me?
Queste tre opportunità, generano (anzi devono generare, hanno l’obbligo di generare, cavolo fate sì che generino) una pubblicità che mi piace.
Mi piace ricevere la newsletter da Sky che mi coccola e mi dice “Marco, per te che sei cliente da 8 anni, tifi Juventus e ti piace il basket ti diamo la possibilità di vincere 8 palloni da basket a strisce bianco-nere”. Poi non vinco mai niente eh, sia chiaro. E sicuramente mio zio che è cliente da 1 settimana riceve la stessa NL, con scritto 1 settimana invece che 8 anni. Però chissene. Apprezzo lo sforzo. Grazie.
Mi piace essere bombardato dal remarketing di corsi sul web marketing. Li ho visitati io. Magari non avevo tempo di approfondire, grazie che me lo fai rivedere. E che mi informi delle novità. Sì, le voglio sapere.
Ancora, se vedo un link in ADV tramite la rete search di AdWors ci clicco perché, cavolo, se paghi per portarmi sul tuo sito devi avere tanto da offrirmi e soprattutto hai quello che cerco visto che la mia query è specifica.
Adoro la pubblicità sui canali tematizzati e verticali satellitari: quasi sempre sono brand che mi interessano, che in qualche modo seguo e consumo.
E così via. Ci sono tutti gli strumenti, tutte le variabili per generare una pubblicità su misura, one to one, per i nostri client o prospect. Qui si gioca il successo o l’insuccesso.
La pubblicità è una cosa meravigliosa
Deve comunicarmi cose che mi interessano e ha la possibilità per farlo, in modo coinvolgente. Deve approfondire i miei interessi, sapere come prendermi. E può farlo adesso. Perché siamo tutti aperti alla comunicazione, al dialogo, alla connessione. La selfie revolution ci dice proprio questo. Perché non lo fate? Perché continuate a farvi odiare?
I brand devono giocarsi la guerra sugli interessi. Devono investire solo dove hanno la possibilità di sapere che il loro messaggio arriverà a chi di dovere. Trovo insensate le dispersioni di budget, fatte con il vecchio criterio di “butto degli ami vediamo chi abbocca”. “Abboccano i ghiozzi”, si dice in Toscana.
La pubblicità ha la possibilità di rivalutarsi, di diventare interessante (oltre che utile). E deve diventarlo. Ma non per me, e nemmeno per i clienti o prospect. Per voi, brand. Perché, semplicemente, se non la fate essere tale buttate via tempo e soldi. E anzi, vi fate odiare. E ricordate che il timone lo abbiamo noi. E se non mi piaci viro su altro, affossandovi sul canale in cui mi state importunando (mi disiscrivo dalla newsletter, vi nascondo, vi segnalo come inopportuni, etc…).
Tutto questo è ancora più evidente sui social
Molto semplicemente se esiste (ci siete, avete un prodotto, un pubblico, un’immagine) siete sui social. Se siete sui social (perché c’è la gente che vi consuma) dovreste esserci con una presenza gestita in modo ufficiale. Se la avete, l’unica strada è ascoltare e iniziare a chiacchierare. Certo, avendo obiettivi e strategia, ma partendo dagli spunti della gente che vi compra! Altrimenti finite fuori contesto: andate da un’altra parte, perché otterrete zero risultati. Non solo con la comunicazione organica, ma anche con l’ADV. Perché non interessate. E gli utenti vi schivano come la peste.
Postilla finale: rileggendo il post ho avuto la sensazione di aver usato la parola “pubblicità” un po’ come Barbara D’urso usa la parola “gggente” o i miei nonni usano la frase “un signore in televisone ha detto”. Però oh, non ho saputo come rivedere la cosa. Perchè volevo allargare la questione e inglobare sotto le 10 lettere grossa parte della comunicazione. Esistono gli strumenti, esistono i media, esiste la gggente (per restare in tema), esistono i prodotti, esistono i messaggi, esiste un contesto. Io volevo parlare di quello che ci sta in mezzo e che lega il tutto.
Postilla finale, atto due: sempre rileggendo mi sono accorto che questi ragionamenti stanno in piedi in linea generale. Poi però se sei CocaCola, per fare un esempio, le cose cambiano un attimo. Ecco, tutto giusto, tutto bello, ma diciamo che se sei CocaCola di ‘ste pippe non te ne fai. Alla salute!