HomeBlogAdvertisingCome orientare le scelte di marketing grazie a un framework 

Come orientare le scelte di marketing grazie a un framework 

Riuscire a creare delle campagne di marketing efficaci e rilevanti dipende da una moltitudine di fattori: budget, prodotto, timing… e non tutti questi fattori sono dominabili in prima persona dagli uffici marketing. Questo però non deve essere una scusa per improvvisare o per non provare a darsi un metodo di lavoro che aiuti ad orientare le scelte. 

Come prima cosa tutti noi markettari dobbiamo iniziare a farci più domande: 

  • Chi sono i consumatori del nostro prodotto?  
  • Il mio prodotto è una commodity oppure ha una USP facilmente individuabile?
  • Esiste una domanda palesata del mio prodotto?
  • Il mio brand quanto è conosciuto? Come viene percepito? 
  • Che caratteristiche ha il momento storico in cui sto lanciando questa campagna?

Da anni in agenzia usiamo uno schema che incrocia alcune delle domande fatte precedentemente, quali la percezione del brand e la consapevolezza della domanda, e che va a costituire quattro quadranti idealtipici. Sulla base del posizionamento del prodotto all’interno di questo schema (seppur semplificato) risulta più immediato capire che tipologia di attività di marketing implementare.

Nella situazione in cui la brand awareness è bassa ma la domanda è consapevole (quadrante 1), è facile intuire che non si possa partire con delle campagne prodotto senza prima essersi posizionati come player interessanti e senza aver lavorato sulla dimensione di fiducia. Ecco che, in questo caso, può avere senso non fare da subito campagne di lead generation su Google o Facebook ma piuttosto agire su touchpoint intermedi come eventi per posizionare il brand o asset online realizzati da “Creator” che possano attestare l’azienda come autorevole. In questo caso, anche collaborare con testate di settore influenza positivamente la dimensione di fiducia necessaria che un utente deve avere prima di effettuare l’acquisto. In questa situazione è importante settare le aspettative che derivano dagli investimenti di marketing che non porteranno vendite nel brevissimo periodo (a meno che il prodotto non sia una commodity e possiate avere un consistente vantaggio di prezzo a parità di prestazioni). 

Spostandosi invece in una casistica ideale con domanda palesata ed elevata brand awareness (quadrante 2), le scelte di marketing per la promozione di un prodotto possono essere rivolte a generare vendite anche nel breve periodo. In questo caso, essendoci una domanda da intercettare, ha senso orientare gli sforzi per acquistare keyword di prodotto su Google (e Bing). Essendo il brand conosciuto, solitamente i CTR (Click to Rate) sono alti, e con un investimento “contenuto” (prendete con le pinze questo termine, l’investimento dipende da un milione di fattori) è possibile portare del traffico targetizzato e vicino ad un punto di conversione. La lead generation non esclude, ovviamente, un lavoro di brand awareness intorno al prodotto: sarà necessaria, quindi, una campagna creativa (su canali come Instagram, TikTok  etc..) che crei hype e massimizzi i risultati nel breve periodo. 

Nella situazione in cui la brand awareness è alta ma la domanda è latente (quadrante 3), le attività di marketing dovranno avere come primo scopo quello di generare il bisogno nel target. Per farlo la tecnica migliore è quella dell’inbound marketing: cioè creare contenuti di valore per attrarre l’attenzione di un utente e traghettarlo successivamente verso l’acquisto. Ecco il perché quindi di tutti quei contenuti educativi come e-book, webinar ed eventi gratuiti a cui tutti noi partecipiamo. 

La scelta tra inbound o campagna prodotto influenza enormemente anche l’individuazione del piano media online. Nel caso dell’inbound infatti l’investimento sarà unicamente nei canali che operano in push, come Facebook, LinkedIn, TikTok o Google Display. 

Esiste un’altra enorme differenza tra i due tipi di campagne: il modo in cui trattare i lead. In caso di campagna prodotto, le persone che compilano un form sono pronte a parlare con una figura commerciale e a comprare (può funzionare anche un e-commerce). Chi invece scarica un asset inbound non è quasi mai pronto ad acquistare il prodotto nell’immediato ed ha bisogno di intraprendere un percorso di nurturing che lo porti ad una consapevolezza maggiore. 

L’ultimo quadrante va a rappresentare la peggiore delle ipotesi, cioè una brand awareness bassa e una domanda latente. Questo è spesso il caso di startup che propongono prodotti innovativi e che sono appena entrate nel mercato. A livello di strategia ha senso mischiare quello già detto per i quadranti 1 e 3 ma a differenza degli altri casi, per raggiungere un risultato tangibile sulle vendite, serve più budget e pazienza. Le aziende che operano in questa situazione hanno però maggior possibilità di osare dal punto di vista della comunicazione e magari di sfruttare l’effetto novità che in alcuni soggetti può essere attrattivo. 

Ovviamente questi 4 quadranti sono solamente una guida semplificata che può aiutarci però ad orientare le scelte e a non sprecare budget per attività poco funzionali o fuori focus. 

 
 
AUTORE

Alessandro Facco

Parole, Parole, Parole, non è la sua canzone. Rincorre il lead come un cane l'osso di carne pregiata, lavora di lima e cesello per ottimizzare ogni numero. Alchimista.
 
 

Vuoi scrivere per noi?

Contattaci per proporre un articolo o segnalarci un contenuto interessante.